Un blog per vendere all'estero

Vendere all'estero è una grande opportunità per le aziende italiane, tutte, specie quelle artigianali, piccole e medie.
In questo blog lavoreremo insieme per trovare la strada migliore e avere successo con facilità.

Tra vent’anni sarai più deluso delle cose che non hai fatto che di quelle che hai fatto. E allora molla gli ormeggi. Lascia i porti sicuri. Lascia che gli alisei riempiano le tue vele. Esplora. Sogna

Mark Twain.


martedì 30 settembre 2014

Dal Brasile al mondo: apprendere la lezione per non sprecare risorse nell'export



Uno dei più interessanti gruppi che seguo su Linkedin, Italians doing business in Brazil, per la grande partecipazione e per la qualità degli interventi.

In una recente discussione conseguente ad un mio post su olio d’oliva e Eataly a New York sono stati affrontati temi interessanti che vorrei condividere.
Come dicevo il lancio è stato il mio post nel quale sostenevo che senza una adeguata promozione non si fa strada. Il perché lo trovare rileggendo quell’articolo.
Le risposte non si sono fatte attendere rivelando una ricchezza generosa e suggerendo grandi stimoli.
Inizia Fabio Moro che  calando la mia provocazione nel paese sudamericano scrive “In Brasile non è facile vendere olio specialmente se premium.  Ostacoli: dazi alti e consumatori non ancora sufficientemente preparati ad apprezzare oli di qualità (seppur in miglioramento) L'impresa italiana di conseguenza deve essere disposta a spendere molto di più rispetto ai mercati europei in azioni di marketing e valorizzazione del prodotto”. 
Quindi, ci dice, attenti al fatto che tutto il mondo NON è paese: vuoi vendere? Fai cultura e crea brand.

Gianluca Iorio si inserisce e ribadisce “Come diceva Fabio in Braisle non é un problema di brand (che per il prodotto italiano é pressoché inesistente) e tantomeno di qualitá spicciola quanto (purtroppo) di prezzo. Il brasiliano medio (ossia circa 170 milioni di consumatori) quasi non utilizza olio extravergine riservato appena per condire l´insalata e le marche portoghesi (per evidenti ragioni) la fanno da padrone. Ultimamente si stanno facendo avanti prodotti di buona qualitá di provenienza cilena mentre la produzione italiana é spesso confinata ai distributori come Colavita o Cremonini senza quindi prodotti di qualitá disponibili per il consumatore brasiliano.”

E Fabio integra chiarendo che
1) Sono presenti altri oli "popolari" come Bertolli, Olitalia, De Cecco, Berio, etc...
2) E' anche vero che la popolazione brasiliana è di 200 milioni di abitanti, quindi ce ne sono 30 di milioni che hanno potere d'acquisto pari a quello europeo. Mercato numericamente importante.
3) Gli oli summenzionati "popolari" - comprati da quei 30 milioni - si trovano negli scaffali di alcuni supermercati di livello medio-alto, molto noti in Brasile
4) Una parte della fetta dei 30 milioni sarebbe disposta a spendere anche caro ma non c'è ancora la cultura giusta dell'olio - Il portafoglio è ok ma la testa non ancora pronta... è questione di tempo...
5) Opinione personale: indirizzare gli oli premium in enogastronomie top o forse negli stessi supermercati ma dedicando risorse a spiegare al singolo consumatore il differenziale di qualità (eventi ad hoc? personale preparato specificamente sul prodotto?)

Gianluca precisa
“Devo dire che a mio parere la strategia di marketing seguita per esempio dalla cilena Olisur che produce l´olio O-Live (che oltre ad essere di buona qualitá ha vinto vari premi (tra i quali L´Orcuolo d´oro proprio in Italia)  si è rivelata vincente almeno nel mercato di Rio de Janeiro collocando il prodotto in una fascia sicuramente di qualitá ma che stizza l´occhio al consumatore delle classi B BC e in taluni casi anche D (per quello che vedo nella GDO). Secondo me il grande problema (oltre all´educazione al corretto utilizzo) é anche che spesso il brasiliano confonde la bassa aciditá come sinonimo di qualitá e in questo molti portoghesi o spagnoli hanno una produzione apposita per il mercato brasiliano (penso a Gallo e Borges per esempio)”.



Fabio aggiunge un altro punto decisivo:
“è una questione di cultura?
Per l'idea personale che mi sono fatto in merito al food:
- Gli italiani comprano prevalentemente per la qualità reale (mi piace, è buono...)
- I brasiliani per la qualità percepita (è bello, è trendy, etc...)”

a proposito del quale Andrea Frau aggiunge un elemento decisivo
Fabio ha parlato di una cosa estremamente importante per operare con certi prodotti (non solo alimentari) su questo mercato: il packaging.
Il prodotto si deve distinguere nel senso che il suo acquisto (indipendentemente dalla sua qualitá reale) rappresenti quasi uno status

Nel suggerirvi di andarvi a leggere tutta la discussione, davvero stimolante, che mostra anche la qualità e la professionalità di queste persone, cerchiamo di trarre “la morale”:

se pensate che per esportare basti esporre il proprio prodotto ad un mercato straniero e vi mettere alla ricerca di distributori avete probabilmente una elevatissima probabilità di fallire. Per vendere all’estero è necessario partire da una strategia solida, basata su analisi di mercato (ricordate Ulisse e le sue potenzialità?) e su una potente azione di marketing e promozione.


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