Un blog per vendere all'estero

Vendere all'estero è una grande opportunità per le aziende italiane, tutte, specie quelle artigianali, piccole e medie.
In questo blog lavoreremo insieme per trovare la strada migliore e avere successo con facilità.

Tra vent’anni sarai più deluso delle cose che non hai fatto che di quelle che hai fatto. E allora molla gli ormeggi. Lascia i porti sicuri. Lascia che gli alisei riempiano le tue vele. Esplora. Sogna

Mark Twain.


sabato 31 agosto 2013

Export e cultura: il punto di vista dell'italiana in Texas



Può la cultura dire qualcosa sul mercato? Deve! Per questo ho chiesto a Tiziana Ciacciofera, direttrice del Centro di Cultura Italiana di Houston e della quale trovate una dettagliata biografia in coda, di regalarci la sua visione del made in Italy in una terra così interessante per l’export come è il Texas. Ecco che cosa ci suggerisce.

Tiziana Ciacciofera è una palermitana doc trasferitasi in USA portandosi dietro un ricco bagaglio di esperienza in amministrazione, management, pubbliche relazioni e networking acquisita in oltre 15 anni di servizio  presso la Regione Siciliana, oltre che un intenso amore per la cultura e le tradizioni Italiane. Da tre anni vive a Houston, Texas dove dirige la programmazione del Centro di Cultura Italiano, ruolo che le consente di mantenere un forte legame con l’amata terra natia, per la quale funge da “ambasciatrice” della sua cultura, arte, tradizioni e lingua. Nominata nel 2010 consulente del Presidente della Regione per i rapporti e le relazioni internazionali della Sicilia, svolge anche ruolo di consulente per le relazioni pubbliche e marketing dell’Hotel Granduca, rinomato albergo lusso 5 stelle di Houston ispirato al palazzo toscano del Granduca di Monfallito. Numerosi i successi ottenuti con iniziative ed eventi da lei ideati e coordinati, molti dei quali in collaborazione con il Consolato Generale d’Italia a Houston. Tra i più recenti, una intera settimana di eventi mirati a promuovere la cultura Italiana attraverso i sapori, che è stata inserita dall’Ambasciata Italiana in USA e dal Ministero degli Affari Esteri nel calendario ufficiale del “2013: Anno della Cultura Italiana negli USA” e che ha attirato l’attenzione della stampa Americana e Italiana, nonchè di Sua Eccellenza l’Ambasciatore in USA, Claudio Bisogniero.


Il made in Italy ha ancora successo negli USA?

Assolutamente si. Il “Brand Italia” nel territorio Americano mantiene un posizionamento di assoluto rispetto in tutte le sue sfaccettature: cultura, arte, alta moda, pelletteria, auto e moto sportive e sopratutto cibo e vino.

Che cosa si aspetta un americano da una azienda italiana?
Qualità e affidabilità, caratteristiche indispensabili per operare in un mercato molto esigente come quello Americano.


Abbiamo ancora addosso l'immagine di Totò che vende la fontana di Trevi o è cambiato qualche cosa?
Purtroppo ci sono degli stereotipi che sono davvero molto difficili da sradicare dall’immaginario collettivo. Nonostante la migrazione degli Italiani negli USA sia ormai quasi esclusivamente intellettuale, e i nuovi emigrati siano altamente qualificati e apprezzati in tutti i campi, il concetto di Italiano è spesso associato a quella parte di emigrati, ormai molto lontani, espatriati con la scatola di cartone un po furbacchioni. Ritengo che la stampa non ci aiuti certo a liberarci da questi falsi stereotipi.



Che cosa chiede ai suoi fornitori un cliente americano? Che cosa per lui è imprescindibile?
Prodotti innovativi, affidabilità, qualità, velocità nelle transazioni, puntualità nelle consegne.

Che errori commettono gli italiani che vogliono vendere in America secondo te?
Non ritengo facciano una buona indagine di mercato per il posizionamento del loro prodotto. La multiculturalità del territorio Americano fa sì che sul mercato vi sia una variegata disponibiltà di prodotti e servizi. Fatta eccezione per il settore “food & wine” che ha una collocazione forte e consolidata sul mercato Americano, a mio avviso occorrerebbe trovare prodotti e servizi di nicchia, difficilmente reperibili sul territorio.

Quanto conta il web per gli americani, intendo dire in termini di reputazione di una azienda?
Viviamo un epoca in cui l’utilizzo del marketing tradizionale va sempre più cedendo spazio al “Social Media Marketing”.  L’impatto dei Social Media sul mercato è molto forte ed espone molto di più il prodotto e/o servizio offerto, al rischio di confronto. Attraverso questi nuovi strumenti, il consumatore ha un rapporto immediato e diretto con l’azienda. Il consumatore di oggi ama documentarsi e utilizza tutti i mezzi che il web mette a disposizione per farlo. Conseguentemente, se le recensioni disponibili sul web non sono positive, assistiamo inesorabilmente al tramonto del prodotto/servizio. Ergo, l’importanza di investire in una buona campagna di marketing e comunicazione. Ritengo che questo concetto sia valido in tutto il mondo e non solo per il consumatore Americano.


Che interesse c'è per la cultura italiana?
Prima di tutto, l’Americano ha spesso un concetto distorto della cultura Italiana, molto spesso legato a un Italia che non esiste più da 50 anni, o allo scambio della cultura Italo-Americana con quella Italiana. Stimolare l’interesse per la cultura Italiana autentica nel consumatore straniero è un processo molto complesso. In termini di marketing, la “cultura” in senso lato, intesa come tutto l’insieme di conoscenze, valori, tradizioni, credenze, modi di vita, principi morali, leggi, arte, letteratura, cinematografia, tradizioni culinarie, coltivazioni tipiche, tecniche di fabbricazione di un determinato prodotto, etc., credo sia uno dei “prodotti” più difficili da promuovere.  Occorre studiare delle strategie “ad hoc”, costruire un “desiderio di conoscenza” tale da consentire l’individuazione di un ambito di domanda e conseguentemente giustificarne l’offerta. È quello che io ho attuato al Centro di Cultura Italiana di Houston con un’ottima risposta da parte della comunità locale.
L'azienda italiana che guarda all'America pensa subito, e spesso solo, a New York. Il Texas, e Houston in particolare, che opportunità offrono agli italiani?

Credo che il miglior modo per rispondere a questa domanda sia suggerire questo articolo pubblicato a Gennaio su Il Sole 24 Ore di Anna del Freo.

Eccolo interamente riportato così come è presentato sul sito del Sole24Ore

Un luogo favorevole al business. Come gli Usa, più degli Usa. Così può apparire il Texas alle imprese interessate a scalare il mercato americano, che resta, per molti versi, il più interessante del mondo. Uno Stato in espansione, che negli ultimi dieci anni ha creato più posti di lavoro di ogni altro Stato Usa, circa un milione. Houston, Dallas, S. Antonio e Austen, le città principali, sono in crescita. E sono molti i settori che potrebbero interessare le nostre aziende. Il manifatturiero tecnologico, in primis, con le sue 5.200 aziende che impiegano quasi 500mila lavoratori specializzati e oltre 400 imprese di sviluppo software. L'aerospaziale e aereo, con il Johnson space center, un complesso da 1,5 miliardi di dollari che ospita la Nasa: 150 le imprese coinvolte.
E ancora sono forti biotech, nanotech e medicina, con oltre 190 imprese, 75 ospedali e cliniche all'avanguardia e alcuni tra i migliori centri di ricerca americani. Poi l'energia: più di 3.500 aziende nel comparto, provenienti da tutto il pianeta: il cuore dell'industria petrolifera mondiale. Non trascurabile il comparto trasporti e logistica, per la posizione strategica sul Golfo del Messico, porta aperta sull'America latina. Senza contare le opportunità di esportazione, per l'Italia, dei prodotti tipici del made in Italy come vino, moda e prodotti dell'arredamento.
Ma non è il mero elenco dei settori chiave a descrivere le opportunità reali del Texas. «Muoversi qui è molto facile», spiega Brando Ballerini, Presidente e Ceo della Drillmec, società del gruppo Trevi, presente in Texas dal 1999, quando il gruppo acquisì un'azienda locale, la Branhan, attiva nel settore petrolifero. Il gruppo Trevi infatti opera nei grandi lavori e anche in quello degli impianti e attrezzature per trivellazioni petrolifere. Oggi in Texas ha uno stabilimento e impiega una settantina di persone. Non solo, ma attraverso la Drillmec veicola sul mercato americano e sudamericano gli impianti e macchinari che vengono costruiti in Italia.
«Qui la burocrazia è quasi inesistente – continua Brandolini – dal momento in cui abbiamo comprato il terreno per costruire il nuovo stabilimento a quello in cui abbiamo cominciato a produrre, sono passati solo 8-9 mesi. Inoltre in Texas bastano 1.500 dollari per mettere in piedi una società e questa facilità permette anche alle imprese di dimensioni minori di investire qui. Il carico complessivo di imposte è del 33-35%. Inoltre il mercato del lavoro è completamente libero. Questo ha vantaggi e svantaggi: il dipendente può essere licenziato senza problemi ma anche lui ha una mentalità tale da andarsene appena gli fanno un'offerta migliore e il turn over è elevatissimo, specie per i più bravi. Noi abbiamo cercato di "correggere" questo sistema garantendo ai nostri dipendenti che non li avremmo licenziati, salvo casi particolarmente problematici, e ora abbiamo uno dei turn over più bassi di tutta l'area».
I pagamenti dei fornitori a 30 (massimo 60) giorni, il basso costo dell'energia, un sistema di tassazione molto favorevole (ci sono solo le tasse federali, non quelle locali) sono altri punti di forza del Texas. «Anche il costo della vita qui è inferiore rispetto ad alcune città più famose degli Stati Uniti – rincara Luciano Topi, Chairman del Board della Camera di commercio italiana di Houston (la Camera è una delle presenze italiane più attive in Texas). – Una bella casa qui può costare 300mila dollari. Anche il costo del lavoro è più basso rispetto al resto degli States.
Certo questo non è un posto per imprenditori mordi e fuggi. Possono però avere chance anche aziende senza una specializzazione tecnologica particolarmente alta».
Il problema, per un'azienda italiana medio piccola è ancora una volta l'accesso al credito: la presenza della banche italiane è praticamente nulla e il sistema americano non consente a chi è appena arrivato un "punteggio" tale da avere una linea di credito rilevante a disposizione.



Tiziana Ciacciofera è una palermitana doc trasferitasi in USA portandosi dietro un ricco bagaglio di esperienza in amministrazione, management, pubbliche relazioni e networking acquisita in oltre 15 anni di servizio  presso la Regione Siciliana, oltre che un intenso amore per la cultura e le tradizioni Italiane. Da tre anni vive a Houston, Texas dove dirige la programmazione del Centro di Cultura Italiano, ruolo che le consente di mantenere un forte legame con l’amata terra natia, per la quale funge da “ambasciatrice” della sua cultura, arte, tradizioni e lingua. Nominata nel 2010 consulente del Presidente della Regione per i rapporti e le relazioni internazionali della Sicilia, svolge anche ruolo di consulente per le relazioni pubbliche e marketing dell’Hotel Granduca, rinomato albergo lusso 5 stelle di Houston ispirato al palazzo toscano del Granduca di Monfallito. Numerosi i successi ottenuti con iniziative ed eventi da lei ideati e coordinati, molti dei quali in collaborazione con il Consolato Generale d’Italia a Houston. Tra i più recenti, una intera settimana di eventi mirati a promuovere la cultura Italiana attraverso i sapori, che è stata inserita dall’Ambasciata Italiana in USA e dal Ministero degli Affari Esteri nel calendario ufficiale del “2013: Anno della Cultura Italiana negli USA” e che ha attirato l’attenzione della stampa Americana e Italiana, nonchè di Sua Eccellenza l’Ambasciatore in USA, Claudio Bisogniero


martedì 27 agosto 2013

Export Linkedin e le domande chiave per scegliere un mercato e un partner




Il rischio del bazar c’è, forse è connaturato nel nostro modo di agire, di pensare.
Sono iscritto a diversi gruppi di Linkedin che si occupano di ragionare sull’export. E quasi ovunque vedo il gruppo passare attraverso questa fase di turbolenza, quella dove c’è gente che offre di tutto e consulenti locali che si offrono come tramite per esportare tutto ovunque.
Un bazar appunto.
Che non dico non possa dare frutti. E sicuramente anche l’occasione per trovare scambi commerciali di sta.
Ma da un gruppo mi aspetto molto di più. Mi aspetto che chi si propone come facilitatore di vendite locali mi spieghi come si fa a vendere in quel paese, che insomma risponda a queste domande

a)    perché il mercato di quello specifico paese è interessante per il made in Italy 
b)   quali sono i beni/servizi più richiesti
c)    che cosa chiede il mercato in termini di qualità servizio attenzione 
d)   come fare a farsi conoscere affermando la reputazione 
e)    come fare a entrare nel paese: fiere, pubblicità, rete distributiva
f)     come strutturare una rete locale 
g)    quali sono i vantaggi specifici del mercato
h)   che segmenti di mercato sono più appetibili e perché
i)     quali sono i limiti del paese: dazi, tasse, richieste fiscali o legali
j)     che servizi offri tu che ti presenti come mediatore, perché dovrei fidarmi di te 

E che chi vuole esportare non pensi di andare al mercato e piazzare un listino on line per vedere se funziona, ma faccia domande, spieghi perché pensa di avere successo in quel o in quei paesi, che insomma si presenti facendo capire che ha un valore aggiunto tale da poter superare la concorrenza locale e quella di altri esportatori.
Mi aspetto quindi un dibattito, domande e risposte, condivisione di conoscenza, domande che costringono a riflettere, risposte che aiutano a decidere.

Sennò Linkedin che ci sta a fare?

domenica 25 agosto 2013

Tre video per agganciare la ripresa con l'export




 Tre brevi spot che illustrano, più che il libro presentato
Primi passi per l'export,
come sia possibile promuovere le proprie soluzioni con 15 secondi, uno smart phone e Instagram









se invece avete anche solo una videocamera ecco che cosa potete fare




sabato 24 agosto 2013

L’estate del made in Italy Quando smetteremo di farci male da soli?



Pare che la ripresa sia iniziata,timida, pallida, impaurita, ma ben avviata. Così dicono gli indici, così dicono i protagonisti dell’economia mondiale, così dicono i giornali. Il Sole24ore del 15 agosto, il culmine dell’estate, titola “Eurozona fuori della recessione” suonando la tromba della riscossa. Già ma sembra che l’Italia sia tra i ripetenti piuttosto che tra i promossi. Non tutti però. Lo stesso giornale tre giorni dopo, 18 agosto, spiega con ruvidità “si salva solo il made in Italy che fa export”.  Perché i mercati che tirano sono fuori dai confini. Ed è così vero che se ne accorge anche la politica. Carlo Triglia, ministro per la coesione territoriale lancia una strategia di sviluppo per il ciclo 2014-2020 e lo slogan “rafforzare il made in Italy”.
Tutto facile allora? Non proprio.
Perché avere un prodotto made in Italy da vendere non fa export da solo e devo imparare a seguire la strada giusta. Ce lo ricorda Aldo Cazzullo a chiusura di agosto a pagina 17 di Sette del 23 agosto “troppo impegnati a compiangerci, non ci rendiamo conto delle immense potenzialità del nostro Paese”.  Racconta di come il boom degli alimentari italiani negli States non si basi sull’export del made in Italy, ma su prodotti “italian sounding” di tutt’altra derivazione. Come è possibile farci battere in modo così smaccato?

Capita la medesima cosa nel settore del turismo. Lo illustra Federico Rampini intervistato da Marco Tordello sul numero di luglio-agosto 2013 de l’Impresa. Il Bel Paese ha una potenzialità infinita, tale da portarci al di fuori da ogni crisi, eppure non riusciamo più ad attirare il turismo internazionale e ci siamo fatti superare da molti.  Perché tutto questo? Perché ci ostiniamo a fare le cose da soli e in piccolo. Senza guida e senza accordi. E così non ne usciremo più. Bisognerebbe seguire l’esempio di chi ce l’ha fatta, e non parlo solo di grandi gruppi famosi, ma anche di piccole e medie imprese che hanno seguito la legge chiave del successo: non cercare clienti per i tuoi prodotti, ma prodotti per i tuoi clienti.

venerdì 9 agosto 2013

Valorizzare le peculiarità italiane: ecco cosa fare per avere successo nell'export




La corsa all’export è cominciata. Visto il successo che molte aziende, che possiamo definire pioniere almeno in termini di statistica, hanno ottenuto, e dimenticando i flop di altre che hanno preso l’avventura dell’esportazione per una scampagnata invece che come una spedizione da pianificare con cura, sembra che oramai ogni singola azienda voglia trovare il proprio sbocco oltre confine.
Ottimo. Perché il successo è possibile. Non immediato, ma sicuramente raggiungibile.
Se in altri post di questo blog, in questo libro e in questo white paper abbiamo affrontato alcuni temi tecnici e strategici dell’export, oggi vorrei soffermarmi brevemente sui segmenti di mercato.
Che cosa è che distingue il made in Italy nel mondo? La creatività, la novità, la genialità, il lusso, lo stile. E nel campo meccanico la precisione, la cura.
Spingiamo su questo. Inutile cercare di combattere la concorrenza locale o asiatica sul prezzo, inutile copiare modelli vincenti che hanno successo sul posto.
Facciamo sognare: c’è più probabilità di vendere prodotti nel mondo B2C a prezzo elevato che non andando a competere con il prezzo medio di produttori già affermati sul mercato.
Cerchiamo la nicchia, la specificità, lavoriamo sulle nostre peculiarità e alziamo i prezzi, vendendo la creatività.
E se siamo nel mondo B2B valorizziamo ciò per cui siamo noti: flessibilità, soluzioni innovative a cui gli altri non arrivano perche fuori dagli schemi, cura maniacale per la precisione.
Non diluiamo ciò che nel nostro settore vuol dire Italia, anzi esasperiamolo.
Chi ha avuto più successo in questi anni fuori dai confini? Proprio quelle aziende che hanno saputo affermare l’impronta del made in Italy, senza curarsi del prezzo, anzi affermando la loro unicità proprio dietro ad una cifra che non è accessibile a tutti.

Così si riesce a separarsi dalla mischia.

mercoledì 7 agosto 2013

Le domande chiave per avere successo all'estero



Vuoi una strada sicura per capire come e dove iniziare a vendere all’estero? 
Ecco il mio consiglio. Inizia a trovare delle risposte concrete e profonde a queste domande. Perché esse ti guideranno a definire delle priorità su dove andare e di aiuteranno a stabilire una strategia precisa per farti strada in quello specifico paese.

Cerca di non rispondere in modo generico. Evita risposte come

la qualità
l’innovazione
il servizio
la flessibilità
la dinamicità
la serietà.

Non dico che siano risposte false, tutt’altro. Dico solo che sono banali, che non ti aiutano a capire come fare il salto, che qualunque tuo concorrente potrebbe affermare. Hai mai sentito un tuo concorrente dire di sé che

-       fa prodotti di scarsa qualità
-       non innova ha solo prodotti obsoleti
-       non dà servizio ai suoi clienti
-       è rigido
-       è lento e mai puntuale
-       è disonesto

e tu hai mai sentito un tuo concorrente affermare queste cose di sé?

Cerca di andare in profondità, di spiegare, di dettagliare. Ad esempio:

-       che cosa vuol dire qualità? Facilità d’uso? Meno manutenzione? Risparmio energetico? Maggiore durata? Affidabilità nel tempo?
-       - che cosa vuol dire servizio? Assistenza prevendita e consulenza sulle scelte? Possibilità di pallettizzazione personalizzata per ridurre i tempi? Manutenzione tempestiva? Consegna immediata? Rapidità nella fatturazione?

E così via.

Ed ecco le domande chiave da porsi per decidere dove e come aggredire i paesi esteri:

- perché pensi che quei paesi siano un mercato interessante? Quanto vale quel mercato? Quali concorrenti sono presenti?
- Qual è il prezzo di vendita in quei paesi? Quanto e come è diverso rispetto al prezzo che tu puoi fornire?
- Perché un cliente di quel paese dovrebbe scegliere voi invece di un fornitore locale? 
- In che modo aiutate i potenziali clienti ad avere margini superiori (perché li aiutate a vendere di più o meglio o li aiutate a ridurre i costi, non perché avete un prezzo più basso ma per i vantaggi che offrite)?
 
- I vostri clienti italiani più fedeli perché continuano a scegliere voi? Quali sono i vantaggi che portate loro?
 
- Come potete farvi conoscere da questi mercati esteri?
 
- Che novità portate su questi mercati?
 
- Qual è il principale vantaggio competitivo che portate su quei merati?
- Come riuscite a conquistare la fiducia dei (potenziali) clienti?
 
- Come li raggiungerete?
- Che tipo di supporto locale vi serve?


Qual è la vostra esperienza? Che altre domande vi fareste per essere sicuri di impostare un corretto piano d’azione?

lunedì 5 agosto 2013

7 consigli per vendere in nuovi paesi all'estero



Vendi già all’estero e vuoi accrescere il tuo mercato?
Ecco qualche consiglio che ti può essere utile.
L’assunto di partenza è quello di trovare uno schema che sia riproducibile, con tutte le necessarie variazioni si intende, così da facilitare sia la scelta delle priorità sia il piano d’azione.
Espongo in 7 punti le mie riflessioni ed esperienze.

1) quali sono i presupposti per avere successo nei mercati in cui sei già presente? Quali sono i fattori comuni presenti in tutti questi paesi: tipologia dei clienti, potere di acquisto, gusti specifici, presenza di uno specifico canale di vendita, elementi culturali?
2) Come proponi il tuo prodotto? Qual è il vantaggio che viene apprezzato di più?
3) Quali sono i partner locali che ti assicurano risultati più sostanziosi: agenti plurimandatari, distributori, venditori diretti, grandi catene, una tua filiale?
4) Quali mezzi usi per farti conoscere?
5) Qual è il posizionamento e il prezzo del tuo prodotto?
6) Quali i tuoi interlocutori privilegiati?
7) Come hai fatto per entrare in quel mercato?

Le risposte a queste domande ti aiuteranno a trovare la soluzione a due elementi chiave, come dicevo sopra:

a)    quali nuove nazioni privilegiare: devono possedere la maggior parte dei criteri vincenti
b)   come organizzare un piano d’azione: quali partner cercare, come farti conoscere, come promuovere il tuo prodotto.


Hai esperienze da condividere con noi? Che cosa hai fatto per entrare in nuovi paesi? Ti riconosci in questo schema?

venerdì 2 agosto 2013