Un blog per vendere all'estero

Vendere all'estero è una grande opportunità per le aziende italiane, tutte, specie quelle artigianali, piccole e medie.
In questo blog lavoreremo insieme per trovare la strada migliore e avere successo con facilità.

Tra vent’anni sarai più deluso delle cose che non hai fatto che di quelle che hai fatto. E allora molla gli ormeggi. Lascia i porti sicuri. Lascia che gli alisei riempiano le tue vele. Esplora. Sogna

Mark Twain.


martedì 28 maggio 2013

Sbarcare in India






L'India, la I dei favolosi BRICS, i paesi che sembrano trascinare lo sviluppo, così affascinante con la sua cultura differente eppure vicina alla nostra, grande come un continente, l'India è anche un luogo dove fare business?
Lo chiediamo a Stefano Martello e Sergio Zicari autori del volume Fare business in India pubblicato da Franco Angeli




D1: Un aspetto che mi ha molto incuriosito rispetto al titolo del libro è il vostro pedigree professionale: voi provenite professionalmente dalla Comunicazione e dal Marketing. Perché avete scelto questo argomento, quasi esclusivamente economico, e in che modo l’argomento si “accosta” alle vostre competenze?

Stefano: ritengo che oggi la stessa scienza economica sia rappresentata da un campo di conoscenze e di apporti quanto mai vasto. Nel momento stesso in cui abbiamo deciso di approfondire questo tema, ci siamo trovati di fronte ad un approfondimento che, al contrario, era esclusivamente rivolto al dato finanziario. Se questo ci ha aiutato nel calibrare i temi del libro, dall’altra parte ci è sembrato un errore di valutazione non includere – soprattutto rispetto all’India che presenta un carattere di diversità rilevante – parametri di valutazione differenti (per approccio e per attuazione) e nel contempo utili e funzionali all’instaurarsi di una relazione sincera e il più possibile bidirezionale. Conoscere le modalità di comunicazione o gli stili di business adottati aiuta molto e credo che la comunicazione, nel tempo, si accosterà sempre più alle tematiche economiche e finanziarie, divenendone parte importante.
Sergio: quando si parla di economia, a livello aziendale come a quello politico, un grave errore che spesso si commette è quello di limitarsi al campo dei conti e delle statistiche. L’economia reale, quella vera, è inscindibile – come qualsiasi altra attività umana – dalle persone. Ignorare l’elemento “comunicazione” (comprendersi l’un l’altro) e quello “marketing” (comunicare per convincere) spesso fa fallire piani economici sapientemente ma teoricamente studiati sulla carta. Se poi questi piani fanno riferimento a un Paese come l’India, assai diverso culturalmente e socialmente dal nostro, la ragione di realizzare questo libro diventa ancor più evidente.

D2: Perché l’India? Quali vantaggi offre?
Stefano: un ingegnere, poco prima della mia partenza per Bangalore, mi ha raccontato la sua esperienza in quella città. Era andato lì per tenere dei corsi all’Università di Bangalore. Sono affamati di conoscenza, mi ha detto, non si stancano mai di approfondire e studiare e fare domande e riflettere sulle risposte ottenute. Trovando anche dei margini di miglioramento. Ci sono dei vantaggi economici e finanziari (su tutti, il costo ancora contenuto della mano d’opera così come l’ottima preparazione in alcuni campi scientifici) ma credo che la curiosità intellettuale rappresenti un pregio trasversale e un grande stimolo per i nostri imprenditori. Senza contare che, proprio tale dato – unitamente all’attenzione della società indiana ad un clima di formazione perenne – ha innescato negli anni la crescita esponenziale di una classe media sempre più preparata e sempre più pronta a rispondere alle istanze del Mercato.
Sergio: un mercato di oltre un miliardo di consumatori, ancora lontano dalla saturazione di prodotti di largo consumo, con larghe fasce di popolazione che potranno accedere in un prossimo futuro a  più alti livelli economici e con una crescente domanda di prodotti di qualità e di design (tipici del made in Italy) sono tutte valide ragioni per cercare di entrare in quel mercato. Ma aggiungerei un altro punto che sfugge ai più. Duemila anni fa, uno dei libri della Bibbia, affermava che «Nessuno mette vin nuovo in otri vecchi; altrimenti il vin nuovo rompe gli otri, il vino si spande e gli otri vanno perduti». Se vogliamo il “vin nuovo” dei mercati internazionali, non possiamo metterlo negli “otri vecchi” delle nostre consolidate abitudini e modi di lavorare. Dobbiamo metterlo negli “otri nuovi” di una mentalità più aperta, di un modo di agire più consono ai nostri tempi. Perché l’India? Perché ci costringerà a uscire dai nostri vecchi schemi e ci renderà più pronti alle sfide sia dell’attuale crisi economica che del nuovo mondo che ci attende dopo di essa. 

D3: Il sottotitolo del vostro testo è chiaro: vi rivolgete alle PMI. Perché avete scelto questo tipo di target e, soprattutto, non vi pare – date le stesse dimensioni delle organizzazioni che volete intercettare – azzardato calibrare l’intero testo su queste realtà?
Sergio: le grandi imprese non hanno bisogno del nostro libro. Sono abbastanza strutturate, hanno sufficienti mezzi economici e risorse umane per affrontare in piena autonomia il percorso di esplorazione di un Paese come l’India. Anzi, se non sono ancora giunte in India, hanno comunque già maturato sufficiente esperienza in altre nazioni per sapere come affrontare anche questo Paese. Il discorso è molto diverso per le PMI. La globalizzazione non coinvolge solo le grandi aziende. C’è spazio di manovra (ampio spazio) per le nostre PMI dotate di voglia di fare, di iniziativa e di grande flessibilità. Non hanno però abbastanza denaro, tempo e risorse umane per una ricerca da zero su dove e come internazionalizzarsi. Ecco che il nostro volume fornisce loro una guida di base per capire come muovere i primi passi, cosa aspettarsi da un nuovo mercato e cosa fare per conquistarlo. Direi di più. “Fare business in India” non è scritto solo per le PMI che hanno già deciso di aprirsi al mercato indiano. È sì fatto per loro ma anche per quelle imprese che vogliono semplicemente capire a che punto sono rispetto al mercato che le attornia. Ecco perché abbiamo dedicato un intero capitolo alla pianificazione. È un capitolo fondamentale perché aiuta l’imprenditore  a capire quali sono le eventuali azioni correttive che deve apportare alla sua azienda prima di andare all’estero. Un lavoro che, se applicato, gli farà conquistare meglio anche il mercato domestico.

D4: Come fa una PMI ad approcciare un Paese così lontano? Che consigli offrite?
Stefano: come abbiamo scritto nel libro, è fondamentale una fase di pianificazione che sia consapevole ed attenta ad ogni aspetto. Ciascuno di noi può avere una buona idea, ma l’importante è che quell’idea venga misurata e valutata nella realtà, con i suoi limiti e con le sue opportunità. L’idea deve diventare un progetto (con relativi limiti temporali ed operativi); il progetto deve essere valutato all’interno dell’organizzazione (per verificarne la compatibilità e sostenibilità rispetto al numero di dipendenti; alle commesse già in corso; alla disponibilità o meno di risorse finanziarie e, ancora, alla presenza di particolari profili professionali) ed offrire delle risposte il più possibile dettagliate, che orienteranno poi la vera e propria fase di organizzazione. Si tratta di un processo circolare che, troppo spesso, viene disatteso a vantaggio di una attività più casuale, sospinta da un entusiasmo troppo friabile. Proprio per questo abbiamo dedicato a tale fase un intero capitolo (integrandolo anche con una sitografia attraverso la quale farsi una prima idea e l’elenco di organizzazioni di consulenza da consultare nel prosieguo dell’iniziativa), non per offrire una soluzione certa, quanto per offrire uno strumento concreto di prevenzione rispetto alle possibili distorsioni che potrebbero vanificare gli sforzi compiuti.

D5: Quali sono le principali peculiarità che contraddistinguono il sistema di business indiano. E come si riflettono nelle interazioni con gli interlocutori italiani?
Stefano: un primo aspetto importante riguarda una trasversalità valoriale che permea sia la sfera sociale che quella professionale dando luogo ad un macro valore che nel libro ho identificato con il termine di collettivismo, emotivo e umano prima che professionale. Sono molto rigorosi e analitici, e questo spesso spiazza l’interlocutore italiano, soprattutto se si tratta di un primo incontro. Un manager mi ha raccontato la sua sorpresa quando – giunto dall’Italia per conoscere il proprio potenziale interlocutore in un incontro che credeva interlocutorio – si è trovato in una riunione dai toni immediatamente operativi, con un business plan già redatto nei suoi elementi essenziali.
Hanno, qualunque sia l’ambito di business, una struttura gerarchica molto formale e anche questo dato, da solo, spiazza molto l’interlocutore italiano più abituato a decentrare/ritardare/sospendere mansioni e decisioni, oltre ad influenzare anche la quotidianità rispetto, per esempio, a processi decisionali che esigono una risposta immediata (e, per questo, necessariamente decentrata). A livello operativo, è evidente come questa rigidità implichi la necessità di avere un referente indiano che sia in grado di prendere tutte le decisioni necessarie bypassando nel contempo il rischio di un possibile ritardo rispetto a tutte le micro decisioni che intervengono nel corso di un processo complesso.
Abbiamo approfondito questi temi sia nel secondo capitolo del libro che – sia pure indirettamente – nelle conversazioni che abbiamo avuto con professionisti italiani che operano da anni in India.

D6: Uno degli strumenti che offrite al lettore è quello della negoziazione.
Stefano: nel momento stesso in cui abbiamo delineato i valori identitari indiani, ci siamo resi conto di dover offrire al lettore anche uno strumento di avvicinamento tra le singole diversità. Ora, noi siamo abituati ad una negoziazione generalmente giocata sull’emersione di punti di forza e punti di debolezza in capo alle parti, ma questo modello ha mostrato tutta la propria vulnerabilità soprattutto nel medio lungo termine. Si tratta, dunque, di dare allo strumento una connotazione più positiva e propositiva, sottraendolo alla logica del più forte e restituendolo ad una dinamica di confronto funzionale all’emersione di un risultato che non sia già stato pianificato all’inizio ma che sia il risultato dell’avvicinamento delle istanze di parte. In questo modello, chiaramente, la comunicazione gioca un ruolo di primo piano nel creare una relazione che sia duratura e non pronta all’implosione di fronte alla prima difficoltà.

D7: A proposito di valori identitari, allora, quali sono i valori identitari del vostro libro?
Stefano: molti ci hanno domandato se, seguendo pedissequamente le pagine di questo libro, sia possibile assicurare il successo del processo. Assolutamente no. Perché si tratta di un processo con molte variabili. Il nostro intento è sempre stato quello di offrire ai nostri connazionali un vero e proprio facilitatore, che si concentrasse sugli spazi meno presidiati e per questo più vulnerabili. Non per eliminare le criticità quanto per conoscerle e riconoscerle nel corso del progetto. Per questo – anche fedeli ad una nostra idea di saggistica professionale – abbiamo privilegiato un linguaggio molto intuitivo, ricorrendo ad esempi e a testimonianze, con lo scopo di allontanare la trattazione da un sistema di idee giuste perché utopiche, avvicinandole il più possibile alla realtà. In questo senso, per esempio, l’idea di un capitolo sugli adempimenti e le regole giuridiche per il personale in India (curato da Wim Cocquyt e Lidia Rosa) che affronta una tematica trasversale, a prescindere dall’ambito di business o, ancora, la presenza delle schede pratiche posizionate alla fine del volume.
Il tutto per poter dire, con piena consapevolezza, che i valori identitari di questo libro sono quelli della condivisione, dell’incontro e della relazione.


mercoledì 8 maggio 2013

Ma dove vai se la brand reputation non ce l'hai?






Ecco come potrebbe essere presentato un progetto di consulenza per l'export centrata sul modello descritto nei post della scorsa settimana che potete trovare qui:

L'evento a cui si fa riferimento, a titolo d'esempio, è quello organizzato da Francesco de Biase, che abbiamo intervistato su questo stesso blog in due post:

 
Il progetto parte da una assunzione di fondo basata sullo studio del mercato e sull’esperienza: per poter vendere all’estero e esaltare le proprie differenze è indispensabile affermare il proprio brand con una politica di web-social-marketing che rafforzi le azioni sul territorio.
Il reale cliente per una azienda di moda (intendendo con questo termine tutto ciò che sta dentro le categorie abbigliamento -donna, uomo, bambino- telerie per la casa, gioielli, pelletteria, scarpe, cappelli e così via)   è il negozio che vende al cliente finale; questi negozi hanno una sola ragione per scegliere un fornitore rispetto ad un altro: la rapidità e facilità con cui riescono a svuotare gli scaffali mantenendo alti i margini.
È il sell-out che governa la scelta del prodotto, con una logica pull: più efficacemente il cliente finale compera, più sarà interessato il negozio a comperare sempre più prodotti del fornitore, senza imporre il conto vendita. 

Tre sono le ragioni per cui un prodotto ha una rotazione più elevata rispetto ai concorrenti, specie nel settore abbigliamento:

-       la qualità della merce, che deve essere allineata o superiore al livello di mercato
-       lo stile della merce, che deve essere allineato a quello del paese in questione
-       la forza del brand per confermare il bisogno di esclusività del cliente finale e rassicurarlo sulla sua scelta

Diamo per scontato che i primi due elementi siano più che soddisfatti dai fornitori italiani, resta da lavorare sul terzo per costruire l’aspettativa della filiera logistica. Essere MadeinItaly è sicuramente elemento di valore, ma non è un fattore sufficiente per fare la differenza né con prodotti europei, né con prodotti locali, né tanto meno con altri prodotti italiani che possono vantare la medesima qualità.

In pratica si tratta di seguire due processi paralleli, che convergono nell’evento di NYC in autunno: 

-      
il processo che possiamo definire di “vendita” il cui scopo è portare all’evento i possibili compratori, che si tratti di boutique, distributori, catene di vendita;
-       il processo di marketing&comunicazione che ha lo scopo di far conoscere il brand del fornitore e rassicurare i compratori intermedi che si sta agendo per facilitare il sell out affermando il marchio con azioni di brand reputation a basso costo specie sul web e nei social media.

Per la prima area quello che contano sono i contatti con questi clienti intermedi: li abbiamo e i possiamo utilizzare.

Il supporto necessario per la seconda area è riassumibile in queste aree, le quali ovviamente saranno utili non solo per il mercato statunitense, ma per tutti gli altri mercati nei quali in seguito si intende esportare nel mondo dato che il brand viene affermato a livello globale:
-       costruzione di un media kit necessario per definire il valore aggiunto, posizionare sia il brand sia la stilista, fornire il materiale da utilizzare per promuovere la reputazione sia on-line sia con la stampa locale, sia per sostenere l’azione di convincimento e negoziazione con i canali di vendita. In particolare verranno elaborati
o   revisione concept del sito;
o   produzione di video di brand reputation;
o   costruzione di (e-)brochure che riassuma e rilanci il brand concept;
o   revisione del pay-off che spesso compare solo in italiano
-       apertura della presenza sui social media ritenuti utili. Ad esempio, un caso reale che manteniamo anonimo presenta queste presenze nei social, tra l'altro tutte in italiano:
o   pagina Facebook (62 mipiace): solo pubblicazioni di fotografie di prodotti, utimo post tre settimane fa;
o   pagina Pinterest (non compare nel sito, 3 followers, nessuna board);
o   account Twitter (9 followers);
o   account G+ (2 follower);
o   presenza su Foursquare e nessuna attività promozionale
-       apertura di blog per la condivisione dei contenuti e di canale YouTube/Vimeo
-       continuità di presenza sui social media con proposta giornaliera di post, interazione, produzione di nuovi video (almeno 1 al mese) e di nuovo materiale digitale (e-book, white pepar e quanto utile alla promozione)
-       azioni di web marketing con blog,magazine, brand ambassador (come ad esempio 411voices.com) per prolungare e potenziare il marchio specie in prossimità dell'evento, o di altri blog di mamme o di moda e interventi su e-magazine di moda
-       ricerca di una forma di e-commerce, anche ridotta, per affermare la propria presenza in rete
-       assistenza durante il periodo dell’evento a NYC 

Che cosa ne pensate? Quali limiti vedete? Quali vantaggi?
A voi la parola!
 

lunedì 6 maggio 2013

Esportare in Svizzera: merci non denaro!



 Sembra vicina, a volte invece lontana. È un sogno oppure un incubo. Richiama alla mente l’evasione e invece è un mercato solido ed interessante. Che richiede regole e precisione e che non va trascurato proprio perché, pur essendo forse il paese più vicino, è fuori dalla crisi che ha colpito l’Europa e costituisce un ambito di grande interesse anche per la sua internazionalità oltre che per la concentrazione di high end o affluent o ricchi che dir si voglia. Ovviamente parliamo della Svizzera, dove per sbarcare occorre sapere come fare. Ciò è vero per ogni paese estero, e forse ancora di più per la Confederazione Elevetica, fatta di così tante culture e abitudini. Qualche tempo fa ha aperto un portale dedicato proprio a questo mercato e ad aiutare le imprese italiane ad esportare in Svizzera. Ne abbiamo parlato con Alberto Capitanio twitter: @albertocapitani In coda all’articolo trovate una serie di riferimenti al portale Esportare in Svizzera per chi è interessato ad approfondire il tema.

Perché è una occasione esportare in Svizzera per le aziende italiane?
Perché la Svizzera oltre ad essere un mercato molto ricco ed un'economia molto dinamica, ha una particolare propensione all'acquisto di prodotti italiani e si classifica quarto mercato di sbocco al mondo per le nostre esportazioni dopo gli USA.

Che cosa è più richiesto? Quali prodotti?
Prodotti agroalimentari, componentistica meccanica ed elettronica, prodotti del lusso e di design e partnership industriali. In forte sviluppo anche le collaborazioni sul fronte dell'innovazione tecnologica sostenute attivamente dalla Camera di Commercio Italiana per la Svizzera.

Come affrontare il mercato svizzero? Che cosa conquista un cliente elvetico?
Il mercato svizzero richiede pazienza e metodo. La concorrenza è molto forte ed è necessario entrare nell'ottica di dedicare dei mesi alla ricerca sistematica di clienti ed all'approfondimento del contesto regolamentare (dogana e normative su sanità e sicurezza). La Svizzera si conquista dimostrando affidabilità e flessibilità rispetto alle esigenze del cliente.

In che modo il web può essere di supporto?
Il web è fondamentale: l'uso della mail e di Internet per comunicare e mandare informazioni anche di carattere tecnico in tempo reale è fondamentale in un Paese in cui le decisioni devono essere prese velocemente e la concorrenza incombe. Consigliamo altresì di aggiornare il sito web aziendale avendo cura di inserire anche le informazioni innanzitutto in lingua tedesca e inglese e se possibile francese. Questo è un fattore determinante se si considera che oltre l'85 % del mercato svizzero è collocato oltre il San Gottardo.

Che errori non vanno assolutamente commessi nel entrare nel mercato della confederazione?
Non bisogna pensare che basti un viaggio, un incontro, una partecipazione fieristica per ricevere un ordine ed iniziare ad esportare. È necessario farsi conoscere, trasmettere fiducia, parlare la lingua del posto e dimostrare continuità nelle comunicazioni scritte, soprattutto via mail.

Come viene considerato il fornitore italiano dagli svizzeri? Quali i pregiudizi che l'italiano deve sfatare?
Lo svizzero è nella stragrande maggioranza dei casi disponibile a valutare offerte provenienti dall'Italia, è un Paese aperto e civile che non coltiva in generale sentimenti di discriminazione nei confronti degli italiani. Tuttavia l'eccessiva disponibilità degli italiani che spesso non è corrisposta da altrettanta precisione nei tempi di consegna restano un pregiudizio che porta alcuni operatori svizzeri a prediligere fornitori austriaci, tedeschi o del nord europa - ovviamente a parità di condizione economica.

Che rassicurazioni chiede il mercato svizzero al fornitore del BelPaese?
Conoscenza della lingua, del contesto normativo (a seconda dei settori)

Potete dare tre consigli a chi intende esportare, in Svizzera e comunque nel mondo?

1. raccogliere in anticipo le informazioni necessarie sul mercato e sul settore d'interesse a partire dal regime doganale del prodotto che si intende esportare
2. Individuare attraverso i canali delle ricerche partner o delle partecipazioni fieristiche settoriali, un importatore/committente ed un buon spedizioniere
3. dimostrare solerzia nel fornire informazioni al cliente e fare sempre un follow-up dopo i primi contatti, avendo cura di ascoltare le esigenze e le questioni che il cliente pone; nella fase di avvio del rapporto è necessario dimostrare trasparenza ed affidabilitàa nella gestione dei prezzi e delle consegne.

Che servizi offrite alle PMI italiane?
Il portale www.esportareinsvizzera.com opera in partnership con la CCIS - una Camera fortemente orientata al sostegno delle esportazioni italiane. Tale obiettivo viene raggiunto attraverso la fornitura di diversi servizi sia ai singoli imprenditori che a gruppi di aziende, consorzi, associazioni di categoria e Camere di Commercio.

Tali servizi sono prevalentemente i seguenti:
- ricerca partner
- organizzazione di presenze fieristiche ed agendamento di appuntamenti con buyer svizzeri
- promozione via web e su carta attraverso i mezzi di comunicazione CCIS
- informazioni spot su mercato e aspetti normativi ( a titolo anche gratuito qualora l'azienda italiana decida di associarsi alla Camera di Commercio
- orientamento ed accompagnamento per la realizzazione di investimenti in Svizzera tesi ad aumentare la quota di esportazioni italiane su questo mercato.


E per chi vuol saperne di più, ecco come il portale si presenta:


www.esportareinsvizzera.com ha deciso di supportare tutte le imprese italiane interessate ad approfondire le proprie potenzialità sul mercato svizzero, sia per vendere i propri prodotti sia per acquistare materie prime o semilavorati oppure per cercare partnership commerciali o soprattutto tecnologiche in Svizzera offrendo i seguenti servizi a titolo gratuito:

- Primo audit in conference call via skype (audio - video) o telefonica
- Predisposizione Company Profile aziendale
- Primo screening di fattibililtà effettuato coinvolgendo la rete della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera

Il tutto nell'arco di 2 settimane, per poi definire con l'azienda se e come procedere nell'attività operativa. Un servizio molto apprezzato dalle oltre 100 aziende che nel 2012 si sono rivolte a noi.

Ricordiamo inoltre che in tema di innovazione tecnologica la Svizzera è uno dei paesi dove è più alta la presenza di importanti parchi per l'innovazione tecnologica, interessati alla partnership con imprese italiane. 

www.esportareinsvizzera.com nasce dalla partnership tra imprenditori nel settore fieristico, esperti nello sviluppo delle piccole e medie imprese italiane nel mondo, rappresentanti di associazioni imprenditoriali e la Camera di Commercio Italiana per la Svizzera di Zurigo. Una rete di competenze al servizio delle imprese italiane in questa delicata fase congiunturale della nostra economia che vede nell'export la principale risorsa per il rilancio della nostra economia.

giovedì 2 maggio 2013

Una strategia per l'export: parte terza

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Terza tappa: e dopo l’evento che fare?


Non commettere l’errore di non dare seguito e pensare che sia stato sufficiente quell’investimento per aver conquistato il mercato. Il cliente che si sente abbandonato diventa rabbioso e distrugge il mercato con un passaparola negativo. E noi italiani all’estero abbiamo purtroppo una cattiva fama su questo punto.



Proseguiamo dunque nelle attività di marketing a sostegno del nostro brand e di assistenza alle vendite, con una presenza che nei primi mesi sia assidua e accorta, paziente e scrupolosa, così da radicare la nostra presenza.

Le domande alle quali risponde sono semplici, ma spesso vengono trascurate:

-       che tipo di servizio si aspettano i clienti? E il resto della filiera?

-       Come faccio a sostenere la mia immagine?

-       Che cosa ho imparato nelle fasi di approccio all’evento?

-       Che cosa devo modificare?

-       Come posso farmi apprezzare sempre di più da tutte le tipologie di clienti presenti?



Nelle risposte c’è il piano d’azione.

Ecco dove trovi le prime due parti
- prima: definire la strategia per il lancio
- seconda: come far convergere tutto sull'evento