Un blog per vendere all'estero

Vendere all'estero è una grande opportunità per le aziende italiane, tutte, specie quelle artigianali, piccole e medie.
In questo blog lavoreremo insieme per trovare la strada migliore e avere successo con facilità.

Tra vent’anni sarai più deluso delle cose che non hai fatto che di quelle che hai fatto. E allora molla gli ormeggi. Lascia i porti sicuri. Lascia che gli alisei riempiano le tue vele. Esplora. Sogna

Mark Twain.


mercoledì 8 maggio 2013

Ma dove vai se la brand reputation non ce l'hai?






Ecco come potrebbe essere presentato un progetto di consulenza per l'export centrata sul modello descritto nei post della scorsa settimana che potete trovare qui:

L'evento a cui si fa riferimento, a titolo d'esempio, è quello organizzato da Francesco de Biase, che abbiamo intervistato su questo stesso blog in due post:

 
Il progetto parte da una assunzione di fondo basata sullo studio del mercato e sull’esperienza: per poter vendere all’estero e esaltare le proprie differenze è indispensabile affermare il proprio brand con una politica di web-social-marketing che rafforzi le azioni sul territorio.
Il reale cliente per una azienda di moda (intendendo con questo termine tutto ciò che sta dentro le categorie abbigliamento -donna, uomo, bambino- telerie per la casa, gioielli, pelletteria, scarpe, cappelli e così via)   è il negozio che vende al cliente finale; questi negozi hanno una sola ragione per scegliere un fornitore rispetto ad un altro: la rapidità e facilità con cui riescono a svuotare gli scaffali mantenendo alti i margini.
È il sell-out che governa la scelta del prodotto, con una logica pull: più efficacemente il cliente finale compera, più sarà interessato il negozio a comperare sempre più prodotti del fornitore, senza imporre il conto vendita. 

Tre sono le ragioni per cui un prodotto ha una rotazione più elevata rispetto ai concorrenti, specie nel settore abbigliamento:

-       la qualità della merce, che deve essere allineata o superiore al livello di mercato
-       lo stile della merce, che deve essere allineato a quello del paese in questione
-       la forza del brand per confermare il bisogno di esclusività del cliente finale e rassicurarlo sulla sua scelta

Diamo per scontato che i primi due elementi siano più che soddisfatti dai fornitori italiani, resta da lavorare sul terzo per costruire l’aspettativa della filiera logistica. Essere MadeinItaly è sicuramente elemento di valore, ma non è un fattore sufficiente per fare la differenza né con prodotti europei, né con prodotti locali, né tanto meno con altri prodotti italiani che possono vantare la medesima qualità.

In pratica si tratta di seguire due processi paralleli, che convergono nell’evento di NYC in autunno: 

-      
il processo che possiamo definire di “vendita” il cui scopo è portare all’evento i possibili compratori, che si tratti di boutique, distributori, catene di vendita;
-       il processo di marketing&comunicazione che ha lo scopo di far conoscere il brand del fornitore e rassicurare i compratori intermedi che si sta agendo per facilitare il sell out affermando il marchio con azioni di brand reputation a basso costo specie sul web e nei social media.

Per la prima area quello che contano sono i contatti con questi clienti intermedi: li abbiamo e i possiamo utilizzare.

Il supporto necessario per la seconda area è riassumibile in queste aree, le quali ovviamente saranno utili non solo per il mercato statunitense, ma per tutti gli altri mercati nei quali in seguito si intende esportare nel mondo dato che il brand viene affermato a livello globale:
-       costruzione di un media kit necessario per definire il valore aggiunto, posizionare sia il brand sia la stilista, fornire il materiale da utilizzare per promuovere la reputazione sia on-line sia con la stampa locale, sia per sostenere l’azione di convincimento e negoziazione con i canali di vendita. In particolare verranno elaborati
o   revisione concept del sito;
o   produzione di video di brand reputation;
o   costruzione di (e-)brochure che riassuma e rilanci il brand concept;
o   revisione del pay-off che spesso compare solo in italiano
-       apertura della presenza sui social media ritenuti utili. Ad esempio, un caso reale che manteniamo anonimo presenta queste presenze nei social, tra l'altro tutte in italiano:
o   pagina Facebook (62 mipiace): solo pubblicazioni di fotografie di prodotti, utimo post tre settimane fa;
o   pagina Pinterest (non compare nel sito, 3 followers, nessuna board);
o   account Twitter (9 followers);
o   account G+ (2 follower);
o   presenza su Foursquare e nessuna attività promozionale
-       apertura di blog per la condivisione dei contenuti e di canale YouTube/Vimeo
-       continuità di presenza sui social media con proposta giornaliera di post, interazione, produzione di nuovi video (almeno 1 al mese) e di nuovo materiale digitale (e-book, white pepar e quanto utile alla promozione)
-       azioni di web marketing con blog,magazine, brand ambassador (come ad esempio 411voices.com) per prolungare e potenziare il marchio specie in prossimità dell'evento, o di altri blog di mamme o di moda e interventi su e-magazine di moda
-       ricerca di una forma di e-commerce, anche ridotta, per affermare la propria presenza in rete
-       assistenza durante il periodo dell’evento a NYC 

Che cosa ne pensate? Quali limiti vedete? Quali vantaggi?
A voi la parola!
 

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