Un blog per vendere all'estero

Vendere all'estero è una grande opportunità per le aziende italiane, tutte, specie quelle artigianali, piccole e medie.
In questo blog lavoreremo insieme per trovare la strada migliore e avere successo con facilità.

Tra vent’anni sarai più deluso delle cose che non hai fatto che di quelle che hai fatto. E allora molla gli ormeggi. Lascia i porti sicuri. Lascia che gli alisei riempiano le tue vele. Esplora. Sogna

Mark Twain.


lunedì 25 marzo 2013

La strategia secondo Outsider News

Grazie a Domenico Fasano e Outsider news
dove è apparso questo articolo che qui
ripubblichiamo per intero.



Abbiamo cercato reti commerciali anche all’estero, ma senza fortuna. Abbiamo investito in pubblicità, ma non abbiamo ottenuto nulla. Abbiamo cercato negozi e grande distribuzione, ma tutti ci dicono che al massimo sono pronti ad accogliere la nostra merce in conto vendita”.
Affermazioni che mi capita di sentire spesso e che sono riconducibili tutte ad un’unica causa: il troppo amore per la propria creazione. O per meglio dire: la presunzione che il proprio prodotto faccia sempre mercato.
Non è più così. Non è così se non hai un brand affermato, se non basta il tuo logo, che sia una mela o uno sbaffo, a generare aspettativa e desiderio.
Riprendiamo, quindi, quanto presentato nel post precedente come possibile strada per accelerare la propria presenza all’estero. Attraverso il web, ad esempio.
Perché il tuo prodotto sarà anche bello, ma al negozio serve che svuoti lo scaffale, all’agente serve che gli permetta di arrivare a fine mese. E se il cliente finale non sa neanche che esisti, perché dovrebbe comprare te invece del tuo concorrente che ha un nome più noto? Quale valore offri loro perché scelgano te invece che un prodotto analogo? E per loro intendo tutti coloro che da te in giù sono elementi chiavi della supply chain, della catena che conduce al cliente finale, quello che acquistando il tuo prodotto e portandoselo a casa, rende finalmente onore alla tua produzione.
Cerca di costruirti un posizionamento, la rete oggi è la strada più rapida ed estesa. E richiede investimenti ridotti.
Mi dicono: preferiremmo costruire una rete di punti vendita nel mondo che trattino i nostri prodotti prima di passare alla’e-commerce e aumentare la presenza nel web.
Rispondo: mi sembra un errore strategico per queste ragioni:
1) Chi sono i tuoi clienti? Hai una descrizione dettagliata di ognuno dei clienti a valle della tua produzione –perché tutti loro sono clienti- e del valore che stanno cercando da te?
2) Come fai, ad esempio, ad essere appetibile per i negozi nel mondo se nessuno sa chi sei? Per quale ragione dovrebbero acquistare e promuovere i tuoi prodotti?
3) Quanto ti costa la distribuzione e quanto ti porta via di margine? Di conseguenza quante volte in volume devi vendere nei negozi per raggiungere il medesimo livello di margine di un e-commerce?
4) Vendere nei negozi significa produrre prima, vendere in e-commerce significa produrre sull’ordinato. O quasi. Ma ci siamo intesi. Quanto guadagni in termini di oneri finanziari e magazzino?
5) Quanto devi spendere per farti conoscere nel mondo reale e quanto (poco) puoi investire per aumentare la tua reputazione on-line?
6) Che cosa conta di più all’inizio: affermare il proprio brand e diventare noti o cercare di vendere come sconosciuti in negozi di provincia?
7) Il fatto di avere un marchio noto e di vendere on-line quanto aumenta il tuo potere negoziale nel momento in cui cercherai dei luoghi dove essere fisicamente presente?
Nel prossimo articolo analizzeremo le possibili strategie per fare dell’export un asset strategico della propria attività.

domenica 17 marzo 2013

Export, internazionalizzazione o tasse?




Export è diverso da internazionalizzazione: spesso la seconda scelta comporta perdita di posti di lavoro e sofferenze connesse. Per questo la mia scelta è quella di aiutare le aziende italiane a produrre da noi e vendere all'estero. Comprendo che alcune aziende fanno scelte diverse anche per sopravvivere e non per avidità o ingordigia, come potrebbe capitare con più probabilità alle grandi multinazionali.
Per questo ho accettato la proposta di Enrico Furia di parlare del tema internazionalizzazione, per permettere una libera discussione sul tema, senza pregiudizi e con obiettività.
Ecco cosa scrive Furia, a voi la parola per le repliche.


Internazionalizzare l’impresa non vuol dire solo vendere in esportazione: se un cliente è italiano o estero, per l’azienda non cambia niente, tranne l’applicazione dell’IVA.  
Internazionalizzare l’azienda vuol dire liberarla dalla dipendenza da un singolo ordinamento giuridico e renderla padrona di stabilirsi nel sistema più efficiente e vantaggioso.
Oggi ad es., costituire un’azienda “offshore” nello Stato di New York è facilissimo, rapidissimo e costa solo qualche centinaio di dollari.  L’azienda non paga tasse sui profitti perché queste sono pagate dai soci che ricevono utili, i quali le pagano nel loro paese di residenza.
Tutto questo è una truffa ai danni dello Stato? Se sì, allora perché il Governo italiano non accusa il Governo dello Stato di New York di truffa? Perché costui manderebbe al diavolo il Governo italiano, rispondendo che esso applica una sua norma sovrana nel rispetto del GATT, dei TRIPs e di tutti i trattati internazionali sul commercio. 
Ora, insediare un’azienda, o risiedere, ad es., in uno degli Stati balcanici (la costa orientale dell’Adriatico la cui distanza massima è come quella tra Milano e Bologna), foss’anche in Irlanda, Olanda (ipotesi di Bulgari) comporta i seguenti vantaggi.
Le tasse sul reddito sono al 10%; per investimenti superiori a 3 milioni di Euro c’è esenzione quinquennale.
Oneri sociali: 16%
La libertà di circolazione di merci e capitali è assoluta perché tutti gli Stati aderiscono all’OMC.
Accesso ai finanziamenti disponibili come fondi europei, quelli per l’accesso all’Unione,  fondi nazionali d’incentivo, quelli delle banche commerciali e d’investimento locale, più gli interventi dei Fondi Sovrani, che in Italia non vengono più da qualche tempo, se mai sono venuti.
 Disponibilità di manodopera piena e qualificata
Possibilità di vendere in Italia massima, come da affermazione sub c).
Per chi è raccomandata l’internazionalizzazione?
In sostanza per tutti:
Studi professionali
Ditte individuali
Società personali
Società mutue o cooperative
PMI agroindustriali, artigianali, commerciali, di servizi.
Grandi imprese.
Quanti hanno bisogno di aria nuova per il proprio lavoro.
Alle aziende, che abbiano particolari motivi legati al territorio o all’impossibilità di rilocare la loro attività produttiva, si può consigliare di creare una sede operativa (nuova ragione giuridica, oppure costituzione di ramo d’impresa a contabilità separata), che diventa “centro di profitto” e lasciare in Italia la pura produzione, che diventa “centro di costo”. L’azienda italiana produce per il suo centro di profitto, che avrà il solo scopo di fatturare e maturare profitti in un sistema molto più conveniente per l’impresa.
Si può costituire, ad es., una nuova ragione giuridica o un ramo d’impresa in Croazia, Albania, Montenegro, continuando a vendere ai propri clienti italiani, oppure esteri, gli stessi prodotti di sempre. Si paga solo il 10% di tasse sul reddito e nessuna IVA, perché il bene è considerato d’esportazione dove non insiste l’IVA comunitaria. Quindi, se un produttore aggiunge un semplice guadagno del 10% sui suoi costi, ha un utile netto dell'8%.
E' cosi difficile da capire questo concetto su cui ogni impresa (manifatturiera o professionale) dovrebbe orientarsi? L'operatore può aprire anche solo un ufficio commerciale, con sede giuridica presso una società di servizi, che gli mette a disposizione commercialista, avvocato e quant'altro serva, in modo tale che la sua azienda italiana funga da "centro di costo" e quella estera come "centro di profitto". Il centro di profitto può essere gestito a distanza, così come i suoi conti bancari. In questo modo il prezzo finale del prodotto può essere ridotto fino al 50%. Il centro di costo spedisce al cliente e fattura al centro di profitto. Il centro di profitto fattura al cliente. Tutto questo è perfettamente "secundum legem". L'Agenzia delle Entrate può dire e fare tutto quello che vuole. Se lo fa, è lei "contra legem" dal momento che queste sono disposizioni lecite, perché previste (secundum legem), o lecite perché non ritenute illecite (praeter legem).  
Orbene, mentre nei principali ordinamenti giuridici tutto ciò che non è proibito, è lecito, in quello italiano si pretende che quanto non è espressamente autorizzato, sia proibito.
Questa è un’aberrazione giuridica tipica italiana in contrasto con la normativa dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e dell’Unione Europea, due organismi cui l’Italia aderisce a pieno titolo. Pertanto, per ogni azienda internazionalizzarsi è un “dovere” di sana e corretta amministrazione e non un tentativo di evasione fiscale. Scopo dell’azienda è essere efficiente, non pagare tasse ad un sistema inefficiente.
Non conosco minimamente i dettagli dell’operazione “Bulgari”, se davvero l’azienda sia stata pignorata perché ha operato per internazionalizzarsi, quindi non mi pronuncio, ma mi chiedo: se un’azienda non guadagna quanto lo Stato impone di guadagnare, viene accusata di elusione fiscale? Queste sono cose da pazzi o da ladri?
15 marzo 2013
Enrico Furia
http://www.aneddoticamagazine.com 

mercoledì 6 marzo 2013

Il mercato del Baltico






Enrico Furia  accademico e curatore del portale Aneddotica Magazine aiuta la aziende italiane a esportare nei mercati dell’est Europeo con particolare riferimento ai paesi del Baltico. Gli ho rivolto alcune domande sulla sua attività, sull’export e sulle possibilità per le nostre PMI di allargare la loro penetrazione fuori dai confini nazionali.

Quale tipo di sostegno offre alle aziende per aiutarle ad esportare?

Innanzitutto l’azienda, grande o piccolissima deve imparare ad internazionalizzarsi, che non è solo vendere fuori del proprio Stato, ma collocarsi fuori dal proprio Stato, e mettere in competizione tra loro tutte le opportunità che una vera internazionalizzazione concede. Questa è la vera rivoluzione silenziosa che l’imprenditoria deve compiere, la vera cultura imprenditoriale che vogliamo diffondere.

Direttamente, o tramite aziende collegate, possiamo offrire al cliente ogni tipo di aiuto, dal marketing inteso come analisi del mix di domanda e come capacità dell’azienda di dare risposte, all’innovazione di prodotto intesa sia come nuova tecnologia o nuovo uso del prodotto stesso.
Aiutiamo le imprese nello start-up, nel consolidamento o ristrutturazione, nella crescita del profitto, come indice di valore dell’utilità dei loro prodotti con strumenti finanziari Della U.E., locali, e di venture o financial capital.
Offriamo aiuto nel migliorare la produzione, la qualità, le relazioni umane aziendali e con l’esterno, e l’efficienza di tutte quelle azioni che servono per adeguarsi ai nuovi mercati. Offriamo assistenza contabile e fiscale tramite professionisti locali.
Offriamo al cliente contatti con nuovi clienti sia per la vendita con scambio di moneta sia in barter.

Qual è il profilo della azienda PMI italiana che oggi dovrebbe pensare seriamente all'export?
Tutte le aziende devono poter esportare, ma soprattutto internazionalizzarsi nel senso prima espresso. Il barista ad esempio e tutte le attività stagionali in generale possono esercitare il loro mestiere all’estero e fermarsi o continuare in patria a stagione finita. La PMI si stabilisce, così,  in un regime più favorevole e da li continua a lavorare in piena libertà anche in Italia. La grande impresa diventa multinazionale quando stabilisce uno o più regime favorevole quale sede dei propri affari.
Nella sua esperienza quali sono i più frequenti errori delle PMI che vogliono esportare?
La qualità italiana è riconosciuta ed imitata in tutto il mondo. Il “made in Italy” comunque, non deve indicare solo che un prodotto è fatto in Italia, ma che è fatto con la “qualità italiana”, anche se fatto in un altro qualsiasi luogo geografico fuori dell’Italia. Troppe PMI (costruzioni, artigianato, commercio, servizi) rimangono dell’idea “apro bottega ed appendo il cappello, aspettando il cliente”. Questa mentalità non ripaga più. Non si può esportare con la mentalità del muratore, del fabbro, del bottegaio, dell’avvocato o del notaio.

Quali di questi NON vanno commessi assolutamente?
Aprire bottega, appendere il cappello ed aspettare il cliente.

Che cosa dovrebbe invece fare una azienda che vuole esportare? ci può dare i 5 punti chiave?
Usare il marketing come filosofia d’impresa, sia nella sua forma di marketing mix per le aziende di manifattura, sia nella forma di marketing max per le aziende di know-how.

Il corridoio del Baltico: perché è interessante? ha qualche dato che aiuta a capire il valore di questo mercato?
Le merci, che entrano nel Mediterraneo da Suez, impiegano cinque giorni in meno ad arrivare al Baltico passando dal corridoio adriatico. In Italia invece si continua con la TAV Lione-Torino solo per distribuire mazzette e non per un vero e proprio valore economico. Il corridoio adriatico per il Baltico coinvolge sette paesi sovrani in via di sviluppo, ben dieci se includiamo anche Italia, Grecia e Turchia, e ben quindici se includiamo anche Austria,l Ungheria, Rep. Ceca, Slovacchia e Germania. Si tratta di un’area di ben 250 milioni di persone.

Quali prodotti hanno maggior mercato in quelle aree?
I prodotti di qualità. Ferrero vende in tutto il mondo non per il prezzo, ma per la sua qualità. Lasciate il prezzo ai Cinesi che, primo o poi pagheranno amaramente la loro politica economica e commerciale.

Che cosa viene apprezzato dell'italianità?
La qualità, lo stile, la fantasia, l’estro.

Come parlare a questi mercati?
Questi mercati conoscono già tutto dell’Italia. In Albania parlano tutti italiano perché vedono solo la TV italiana. In Croazia la mortadella è più buona che a Bologna. In Montenegro i bimbi aprono tutti con stupore e voglia l’ovetto Kinder. Non c’è bisogno di parlare, ma di approfittare della loro voglia di collaborare con le imprese italiane. In questi paesi la criminalità è quasi inesistente perché i loro delinquenti sono già tutti in Italia da tempo.

Il suo portale è molto interessante e ampio: quali sono i temi che tratta con maggiore frequenza?
Trattiamo soprattutto della “razionalità del comportamento umano nella produzione e nel consumo”, argomenti che la “sedicente scienza economica” confina solo nell’insulso “profitto monetario” creando perfino contraddizioni logiche. 

Come siamo visti all'estero secondo lei?
Benissimo e con amore quando ci comportiamo da persone serie, con disprezzo quando ci comportiamo da idioti.

Quali altri mercati segue? quali altri aree geografiche andrebbero oggi privilegiate?
Tutte quelle aree dove esiste ancora l’impegno sociale, l’etica aziendale, l’amore per il prossimo: vale a dire tutti quei valori che hanno fatto grande l’imprenditoria italiana oggi mortificata da profittatori finanziari, politici nullafacenti e nullavolentifare.Il mercato del baltico