Un blog per vendere all'estero

Vendere all'estero è una grande opportunità per le aziende italiane, tutte, specie quelle artigianali, piccole e medie.
In questo blog lavoreremo insieme per trovare la strada migliore e avere successo con facilità.

Tra vent’anni sarai più deluso delle cose che non hai fatto che di quelle che hai fatto. E allora molla gli ormeggi. Lascia i porti sicuri. Lascia che gli alisei riempiano le tue vele. Esplora. Sogna

Mark Twain.


giovedì 14 febbraio 2013

L'autostrada del web porta all'export



Come sviluppare il proprio business nel 2013? Se la scelta dell’export sembra ancora la più convincente (un esempio? La stima di crescita degli USA per quest’anno è di oltre il 300% superiore a quella dell’eurozona. Taciamo il rapporto con il mercato nazionale per carità di patria) il web conferma di essere il luogo più interessante per farsi conoscere e per cercare clienti. In questo post abbiamo illustrato come anche la famosa maison di moda Etro abbia ormai scelto l’e-commerce ritenuta la strada del futuro per ogni azienda, anche per chi opera nel lusso. In quest’altro articolo apparso sul noto e affidabile blog Social Media Examiner si anticipano i trend del mercato per il 2013 con 21 previsoni affidate a 21 guru del web marketing. Lasciamo a voi la lettura integrale dell’interessantissimo pezzo per concentrarci su due elementi: tutti prevedono un aumento dell’impegno delle aziende nell’interazione web  e una crescente importanza del content marketing.
Vabbé potreste dire: è scontato, anzi è un conflitto di interessi. Certo, se non fosse che queste indicazioni arrivano da molte altre parte come ad esempio dalla Harvard Business Review  (ce lo racconta qui Cristina Mariani e qui io faccio alcune considerazioni accessorie) che spiega come l’approccio al mercato delle aziende debba spostarsi dalle famose 4P (prodotto, prezzo, pubblicità, posizione nel canale di vendita) all’acronimo SAVE: Soluzioni, Accesso (quindi interazione), Valore, Educazione. Che vuol dire condividere contenuti attraverso piattaforme che lo permettano e suscitare interazione continua con il mercato. Anzi, con i mercati di ogni dove.
Vogliamo rimane indietro proprio noi italiani?

mercoledì 6 febbraio 2013

Conquistare l'estero a colpi di storie



Stavo raccogliendo articoli sullo storytelling: volevo farne un post un po’ speciale. Ho deciso di smettere: si stanno (giustamente) moltiplicando all’infinito e come può uno scoglio arginare il mare?

Credo possa essere un servizio per tutti chiarire perché questa novità (?) stia infiammando il mondo, specie quello del marketing.
E nel farlo citerò articoli che ritengo utili ad allargare il ragionamento.
1)   Non è affatto una novità: la faccenda è vecchia come il mondo e si chiama mitologia. L’uomo ha bisogno di storie per comprendere e fare proprio. C’è chi dice (Baricco) che alcune parti dell’Iliade siano state scritte per spiegare come fare alcune cose: costruire uno scudo, cucinare un piatto… La storia, il mito, va al cuore perché parla con immagini che la persona poi elabora e trasforma in pensiero proprio. Non abbiamo voglia di farci dire le cose, le vogliamo scoprire.
2)   Basta con l’esaltazione vanitosa del prodotto o del produttore: parla di me, spiegami che cosa mi lega al tuo prodotto, perché dovrei occuparmene, interessarmene.
3)   C’è bisogno più che mai di fiducia: raccontami di te, tira fuori la tua di storia per farmi capire se sei affidabile. Raccontami ciò in cui credi. Lo ha fatto mirabilmente la Chrysler con i due spot andati in onda durante il SuperBowl: quello sui contadini (i farmer) e quello sui soldati (i nostri eroi). Tu vuoi ancora raccontare come sono belli i tuoi lampadari per vendere in questo mercato?
4)   Le storie uniscono: come amici che stanno attorno al fuoco e si raccontano l’un l’altro le proprie vicende, le proprie leggende, si stabilisce così un terreno comune, un linguaggio comune.
Abbiamo bisogno di storie: vogliamo iniziare a raccontarle? A raccontare le vicende della nostra bella Italia per conquistare i mercati esteri? 

lunedì 4 febbraio 2013

Che me ne faccio del (web) marketing?


C’è bisogno di una presenza on-line anche per vendere all’estero oppure è una moda come tante altre che impone solo costi ma non produce frutti?
Una risposta la trovate in questo bell’articolo di Vena Jensen Blitsch canadese, che pubblica le sue riflessioni su Biznik un interessante portale che cerca di creare legami locali e internazionali tra persone prima ancora che tra aziende, cogliendo in pieno lo spirito di chi afferma che le relazioni tra aziende sono innanzitutto relazioni tra persone e che per fare affari bisogna iniziare a fidarsi.
Ecco, appunto. E come faccio a fidarmi di te se non so neppure chi tu sia? Come posso aprire una linea di credito di fiducia se non ti trovo da nessuna parte?
La presenza sul web è il modo migliore, a minor costo e a maggior raggio oggi, per affermare e far crescere la propria reputazione.
Non è un gioco da bambini e la sua facilità può condurre ad effetti devastanti, come ad esempio ci spiega Veronica Gentili in questo affascinante e molto istruttivo post sugli errori commessi dalle aziende sulla rete (volete sapere che cosa ne pensa Veronica? Ecco qui che cosa mi ha detto quando l’ho intervistata su questo tema) o come illustrano alcuni amici in questa ironica e sferzante pagina Facebook che spiega, con sarcasmo, come (non) usare il più noto social network per promuovere i propri prodotti.
Il marketing specie quello web è indigesto alle PMI italiane che lo considerano una spesa e non un investimento. Salvo poi pentirsi amaramente come quella società industriale che, avuta quasi in regalo la possibilità di gestire un prestigioso marchio dell’automobilismo –diciamo di notorietà pari a quella della Pinifarina o giù di lì- per produrre abbigliamento sportivo e avendo investito nel prodotto –qualità, fornitori- ma nulla nel marketing –è una spesa, non garantisce nulla, che ce ne facciamo?- si è ritrovata a perdere tutto il capitale investito perché non è stata capace di affermarsi sul mercato.
Per andare all’estero è più facile partire dal web. E costa molto meno.

sabato 2 febbraio 2013

Storie di export ordinario


Andare all’estero ci dicono: l’export è la nostra salvezza. Vero. Lo dimostrano più che gli studi i risultati ottenuti da quelle PMI che hanno diversificato i mercati geografici e che hanno avuto il coraggio di cercare oltreconfine quelle soddisfazioni che l’Italia negava loro.
Lo abbiamo visto anche queste pagine virtuali intervistando molti imprenditori che ci hanno raccontato la loro esperienza di successo(qui sotto l’elenco con i link alle loro avventure), di un successo costruito con intelligenza e non senza fatica o errori, ma con la volontà sicura di riuscire e di studiare per farlo. 

Ma bisogna saperlo fare o farsi guidare da chi ha esperienza e metodo.

Le storie di oggi sarebbero comiche non fossero tragiche.

Le ho raccolte da esperienze dirette o indirette, saperlo non cambia nulla, e le racconto non per mettere alla berlina individui sprovveduti, ma per mettervi in guardia e aiutarvi a capire che errori non commettere, perché sono dolorosi e producono guai.

Il fattore che ha successo localmente con salumi e formaggi e salse fatte in casa e promosse nei negozi e mercati locali che vuole esportare negli States è ti chiede un aiuto per vendere a New York e Washington. E ti chiedi: perché proprio NYC e DC? Sulla base di quale analisi? Quella condotta nei serial TV? Salumi? E salse in vasetto? Non ti fanno neanche salire a bordo se sanno che porti con te simili prodotti? E venderli poi dove? Sulle bancarelle a Times Square? Come? Come ti promuovi? “In paese mi conoscono tutti” è il tuo pay-off? Potrebbe anche funzionare, se a dirlo fosse Robert de Niro vestito da fattore marchigiano magari. Dov’è la strategia? E che cosa pensi di investire?

Il produttore di accessori per abbigliamento che manda specifiche e fotografie, propone –anzi: impone- le sue condizioni, non risponde alle prime mail che richiedono informazioni e dettagli e poi sparisce dalla circolazione. Non una, ma due o tre volte, ogni volta contattando un interlocutore diverso: Camera di Commercio, società di intermediazione, esperto di export. Cos’è? Siamo su scherzi a parte? Giochiamo a nascondino?

Il negozio del centro, di lusso, che vende prodotti di design e che per un anno flirta con te per capire, per imparare, per attingere poi decide di muoversi da solo perché ci sono mondi che ti stanno aspettando e non si può prima pensare: bisogna agire subito. “Poi ho amico che conosce uno che ha sempre delle condizioni sicure e particolari e può ottenermi questo e quello” e magari afferma di avere una cliente asiatica che promette l’apertura di negozi monomarca e garantisce  un successo senza pari. E poi, dopo qualche mese, scopri che quella fiera che doveva essere gratuita e garantire l’introduzione nel paese gli è costata una barca di soldi e ci ha rimesso la merce che le autorità si sono trattenute. E che la catena non era monomarca ma un trucco per spillarti prodotti senza pagarteli. Valeva la pena? Siamo davvero così ingenui?

Il consulente fiscale che si improvvisa imprenditore perché invece di aiutare a spegnersi una attività d’artigianato calzaturiero di qualità ci vede un futuro radioso con scarpe vendute in tutto il mondo fatte a mano, su misura, su disegno e commissione. Bell’idea, ma quando hai da investire? Quanto puoi aspettare per farti conoscere? Viene fuori che l’idea è di produrre milioni di utili investendo meno di 500.000 €, come a dire proventi che neppure la mafia potrebbe garantire, e in tempi brevi che dopo quattro mesi di investimento in azioni di promozione, quando stavano dando i frutti, come sempre interviene qualcuno –diciamolo: della famiglia- a dire “io lo so fare meglio, guarda che ti faccio vedere”. Risultato? In neanche sei mesi fallimento totale dell’attività. Non solo questa, ma anche le altre.

Storie di ordinaria follia? Diciamo di passione. Però poi ti chiedi perché all’estero di fidano poco di noi o perché non abbiamo il successo che vogliamo.
Perché un conto è essere volitivi, altro velleitari e presuntosi.

Per informazioni chiedere a