Un blog per vendere all'estero

Vendere all'estero è una grande opportunità per le aziende italiane, tutte, specie quelle artigianali, piccole e medie.
In questo blog lavoreremo insieme per trovare la strada migliore e avere successo con facilità.

Tra vent’anni sarai più deluso delle cose che non hai fatto che di quelle che hai fatto. E allora molla gli ormeggi. Lascia i porti sicuri. Lascia che gli alisei riempiano le tue vele. Esplora. Sogna

Mark Twain.


domenica 24 giugno 2012

Intervista a Beatrice Nolli aka BouncyBall



Poiché la competenze di Beatrice spazia dalla rete alla famiglia, dalla reputazione all’export, questa intervista va in onda… a reti unificate sui nostri  tre blog




Beatrice Nolli è una stella del web. Non è un titolo ad effetto né una captatio benevolentiae. Magari un po’ ridondante, sicuramente una verità senza enfasi. Perché la sua voce squilla chiara in ogni dove. Qui ci spiega che cosa fa, mettendolo in pratica come in un gioco di specchi. Qui risponde ad una intervista sul più sciccoso e nuovo dei social media, Pinterest, nel più italiano dei blog su che di Pinterest parlano: Pinterestitaly.
Qui infine commenta i più recenti #epicfail per dirla con Twitter sull’uso disastroso dei social media, da Groupalia a #RTL102.5
Quindi, chiarite le sue credenziali, spalanchiamole le porte e lasciamole la parola.


1.              Mamma@work: così ti definisci. come concili lavoro e famiglia?
E' stata una scelta di qualche anno fa, prima ancora di avere mia figlia, decisi che la passione per il marketing, l'advertising e il web dovessero in qualche modo combinarsi con il mio primo obbiettivo: vivere la famiglia. Così ho mollato "il posto fisso" messo tutto in discussione, puntando molte energie in questo lavoro che mi sta dando grandi soddisfazioni.
Inizialmente è stato complicato unire le due cose perché si rischia di lavorare oltre ogni limite di orario e di relegare alla sola presenza fisica il rapporto con i familiari mentre le energie mentali sono assorbite dall'essere "costantemente online". Dopo qualche tempo però si riesce a comprendere meglio le dinamiche ed i meccanismi, organizzare il lavoro in "fasi" e dedicare ad esso spazi completi per poi potersi godere la famiglia durante gli altri momenti pur restando presenti online.

2.Ti sei occupata molto di Pinterest: quali sono le prospettive in ambito professionale di questo nuovo social delle immagini?

Pinterest è diventato a mio avviso, come si può dedurre anche dall'analisi di diffusione in Italia effettuata da Francesco Russo su inTime, un'abitudine post-lavoro per gli italiani. Questo è un dato importante perché permette di assimilare Pinterest a Facebook, seppure con tempi di permanenza diversi. In questo scenario si capisce molto facilmente che le potenzialità di ritorno per un'azienda o per un professionista ci sono e sono assolutamente da prendere in considerazione. In che modo? Dato che lo strumento in questione è in continua evoluzione e gran parte la faranno gli utenti stessi, è difficile immaginare dettagli futuri ma sicuramente una delle strade che sta portando maggiori risultati è la creazione di board originali che diano spunti interessanti per gli utenti, magari board di gruppo in modo da coinvolgere direttamente gli utenti maggiormente attivi su Pinterest. Come condizione "una tantum" invece vedo molto efficaci i contest, anche perché è tutto da inventare su questo social network, regole comprese, per cui un po' di creatività ed il gioco è fatto! Adoro gli strumenti che puntano molto sulla personalità e sule idee!

3.Chi potrebbe beneficiarne di più?
Una risposta scontata è: chi lavora con le immagini. In realtà le immagini non sono che una rappresentazione visiva di concetti ed emozioni che pertanto possono raffigurare qualsiasi argomento si voglia proporre. Attualmente i settori più forti restano ancora i viaggi, la cucina, la moda, il make-up, interior design e tutto ciò che ruota intorno a gatti e bambini, ma credo che molto si possa fare per qualsiasi settore, ad esempio per i nostri prodotti di nicchia che tanto avrebbero bisogno di maggiore visibilità soprattutto se esportabili, basta usare questo strumento cercando di proporre idee senza tentare la "vendita" a tutti i costi, identicamente come accade per gli altri social network.

4. in che modo è possibile costruire la propria reputazione sul web?
"Non coltivo l'orto solo per i pomodori, ma  anche per le carote" ! :) lo so, è una frase buffa, ma è una specie di "motto" che mi sono costruita con il tempo e che sembra funzionare. I pomodori hanno frutti appariscenti e visibili agli occhi di tutti, rappresentano i fan o i follower o le visualizzazioni di post, mentre le carote crescono sottoterra e mostrano agli occhi di chi guarda soltanto una piccola parte, queste per me rappresentano le relazioni, preziose al punto tale da essere protette dalla terra. Infine ad ogni buon contadino occorre pazienza e tempo!

5.In che modo un social network può effettivamente diventare uno strumento di marketing? Per quali aziende è possibile?
E' possibile e fondamentale a mio avviso, ma occorre tenere presente che il social media marketing non è altro che "una parte" del marketing aziendale, una parte altrettanto importante che dev'essere integrata e "indentata" all'interno del marketing mix permeando ogni singola azione di diffusione. Conosco aziende ad esempio che hanno una pagina Facebook che non è segnalata nemmeno sul loro sito ufficiale, questo vuol dire che gli sforzi del community manager e del consulente saranno totalmente vani.  Quanto alla tipologia di azienda per la quale possano essere utili i social network direi tutte, fermo restando quanto appena detto in termini di marketing mix e soprattutto tenero ben presente che non tutti i social network sono adatti a tutte le aziende in qualsiasi momento esse si trovino. E' fondamentale quindi realizzare una corretta analisi per inquadrare quale strumento risulti più adeguato per "quella azienda" in "quel dato momento" per "quel dato target" e su quel territorio specifico, un corretto web-listening è alla base della riuscita di un investimento online.

6.L'export oggi sembra la strada da privilegiare per battere la crisi: in che modo il web diventa utile?
L'export è una importante opportunità di valorizzazione del prodotto fuori dai confini nazionali; il web facilita i rapporti di lavoro e ottimizza i tempi, pertanto per un settore che lavora sulle grandi distante ed i rapporti internazionali risulta essere uno strumento di fondamentale importanza.

7.    E' possibile e se sì come usare twitter e gli # per una campagna di marketing?
E' possibile se l'uso di Twitter è perfettamente integrato nella pianificazione generale degli obbiettivi di marketing aziendali, come ho detto prima le azioni di social medi marketing se slegate dal contesto aziendale e non collegate ad altre azioni di marketing tradizionali risultano poco efficaci se non vane. Quanto a Twitter ed agli # hashtag trovo che possano essere un mezzo molto interessante anche per la raccolta di impressioni o feedback sui prodotti, ad esempio il caso Ikea Italia è sicuramente un esempio da seguire per la creazione di hashtag ad-hoc che servano a diffondere il marchio o il prodotto fidelizzando l'utente, come ad esempio #parlasvedese con il quale gli utenti hanno inventato frasi di senso compiuto in 140 caratteri utilizzando i nomi dei prodotti. Aldilà delle polemiche, sembra infatti che Ikea Italia abbia una percentuale  di falsi follower, queste iniziative sono state comunque un successo e sono state perfettamente in linea con l'immagine di Ikea in Italia e quindi con il modo di intendere l'Ikea degli utenti italiani su Twitter.

8. Quali errori non deve commettere una PMI che si affaccia sul web?
Sottovalutare la presenza sul web affidandola a persone non specificamente formate per la pianificazione di azioni di social media marketing o per la cura della presenza aziendale online. Oggi la formazione a mio avviso è fondamentale. Altro errore, o conseguenza del primo, sono la mancanza di chiarezza e di tempestività nelle risposte e la mancanza di coordinazione delle azioni e delle informazioni, come dicevo prima infatti un'azienda che ha una pagina Facebook non pubblicizzata e collegata al sito ufficiale vanifica questa presenza oltre a creare diffidenza nei confronti della pagina, potrebbe infatti essere stata creata da fonti non ufficiali.

9. oltre al tuo e a questo (;-), quali sono gli altri blog da non perdersi?
Sicuramente il blog di Francesco Russo che ho citato prima, InTime , poi il blog di Paolo Ratto e alcune fonti internazionali come ReadWriteWeb  e lo scontato ma importante Mashable oltre a Pinterestitaly in materia pinterestiana!
In generale consiglio di avvalersi di un aggregatore, abbonarsi ai feed ma verificare le fonti ogni settimana e cercarne sempre di nuove, magari utilizzando Twitter.

Grazie infinite per avermi dato modo di riflettere ulteriormente su questi argomenti e per la bella opportunità di essere presente sui tuoi blog.
Buon tutto a te e famiglia.
Bea, BouncyBall.

giovedì 21 giugno 2012

Intervista a Futura Pagano, una ventata di professionale freschezza




Futura Pagano sorprende: la sua competenza e professionalità sono rare ad una età così fresca e solare come la sua. Esperta del mondo web e di creazione di eventi: le abbiamo chiesto un contributo per aiutarci, me per primo, a entrare con più intelligenza in quei meccanismi che, unendo  social media e mondo reale, possono avvantaggiare le aziende.
Lascio a lei la parola per presentarsi insieme al suo blog FuturaP.

Ciao, Futura è il mio vero nome (e non un nome d'arte come molti credono). Sono una consulente di comunicazione web, cioè aiuto aziende e brand a capirsi e a comunicare meglio in rete con le persone. Ma solo per i progetti che mi piacciono davvero. Futurap è il racconto di queste cose che mi piacciono, che il più delle volte coincidono con storie di rivoluzioni digitali e sociali. Il tutto cercando di avere un approccio analitico e riflessivo dei fenomeni. Sono un'etnografa travestita da studiosa dei social media, prima o poi mi scopriranno.

Ti sei occupata di recente di eventi su twitter (e off-line) ci racconti lo scopo? In che modo possono aiutare una azienda?

Molti credono che reale e virtuale siano due mondi separati che non si incontrano. Io credo che il social networking abbia per sempre distrutto questo grado di separazione, se mai ci sia stato. Io vado agli eventi, per lo più convegni, dove la diffusione di conoscenza dallo spazio fisico a quello virtuale (live twitting, posting di foto, commenti, geolocalizzazione) contribuisce a far circolare idee tra persone lontane. E ne giova l'individuo, l'azienda, la società tutta in realtà.

Che cosa è un evento 3.0 e a chi può servire?

Un evento 3.0 è una provocazione. è una specie di neologismo che ho coniato nel manifesto di una mia ricerca (tutt'ora in corso). E' un evento che ha come caratteristiche quelle di essere usufruibile allo stesso modo tanto da chi è presente fisicamente quanto da chi è connesso online. Un hashtag, la wifi libera, la diretta streaming e poco altro, e un evento può essere un'esperienza diffusa e in questo modo arricchita dal confronto, virale, preziosa, portatrice di relazione. 3punto0 come dicevo è una non etichetta: non ha senso cercare di dare delle definizioni certe nel mondo dell'innovazione virtuale. In questo momento un ragazzino di vent'anni da qualche parte nel Mondo ha inventato qualcosa che stravolgerà nel prossimo futuro tutte le nostre sicurezze. Conoscenza in continuo movimento, dove la prassi ha sempre la meglio sulle definizioni e sui modelli. è questa la rete, e il suo bello, non credi?

Che cosa dovrebbe fare una azienda per avere successo on-line così da farsi conoscere anche off-line?

Non preoccuparsi di avere successo, ma di creare valore.

Quali sono i passi fondamentali per costruirsi una solida web reputation? e che cosa fare per non demolirla?

Non credo che ci siano delle prassi fondamentali. Ho sempre diffidato da quei libri o da quegli articoli "10 passi per..." "tutti i segreti per...". Sono scorciatoie che non portano quasi mai alla meta, o se lo fanno è comunque un traguardo aleatorio, temporaneo, fragile. Una strategia di comunicazione online va cucita addosso ad un brand e alla gente che gira o che potrebbe girare attorno ad esso. E non è facile, per niente, in primis trovare qualcosa di interessante da dire, qualcosa che parta da una profonda e ragionata conoscenza di sé e del mondo che ti gira attorno. Ci vuole sforzo, professionalità, analisi, dedizione, ascolto. In fase preliminare, in itinere, soprattutto nel monitoraggio dei risultati.  Una delle caratteristiche per avere una buona reputazione è conquistarsi la fiducia degli altri, e questo lo fai con trasparenza, umiltà e capacità di ascolto. Che tu sia un'azienda o Futura Pagano.

Hai scritto di Groupalia e del marketing dell'errore: ho molto apprezzato il tuo intervento. Quali sono gli errori che le aziende non devono commettere?
Di errori potenziali ce ne sono migliaia. Dovuti a fattori diversi: disattenzione, disorganizzazione, pressapochismo, superficialità, impreparazione. Forse se dovessi circorscrivere quelli che portano a danni più irreversibili ti direi sicuramente quelli dovuti alla "sottovalutazione" dei mezzi comunicativi e dell'intelligenza del consumatore. Avere poco rispetto per il tuo interlocutore, questo è grave e la dice lunga sul valore di fondo che ha, o che soprattutto non ha o non dimostra di avere, un brand, un'azienda. Groupalia docet :).

Come si può usare twitter in modo saggio per il proprio business?

Twitter è un mezzo potentissimo per interconnettere in maniera veloce e vera brand e consumatori, consumatori tra di loro, brand e influencer. In realtà tutti loro tra di loro. Se mi chiedi un modo saggio capisco che siamo sulla stessa linea, nel senso che non c'è un modo vincente, ma la buona prassi può portare a risultati duraturi. Twitter è un mondo di conversazioni, e le persone con cui amo più conversare mi salutano, mi guardano negli occhi mentre parliamo, mi consigliano cose interessanti (interessanti per loro, ma anche per me), ascoltano ciò che ho da dire e mi dicono la loro, non mi parlano addosso ma aspettano che io finisca, fanno delle battute intelligenti, sorridono spesso. A volte ridono di gusto. :)

Quali aziende usano meglio il web e twitter in particolare secondo te?

Quelle che non lo usano per parlarsi addosso, ma creano valore per se stessi e per la società e aggregano una community attorno a questo. Ah, volevi dei nomi? Telecom per il corporate, Fiat per il consumer.

In che modo è possibile sfruttare la rete per farsi conoscere anche all'estero?

E' una domanda tanto generica, ci sarebbe molto da dire. In Italia tendiamo ad essere molto "provinciali" da questo punto di vista. Ti basti pensare a quanti blog sono scritti in inglese, o hanno una versione in entrambe le lingue, pochissimi. I social network ci danno la possibilità di interagire con l'estero molto facilmente. Prendere spunti per la propria formazione ed informazione e condividere news dall'estero può essere un buon punto di partenza.


grazie mille
grazie mille a te Paolo per l'intervista e ai tuoi lettori per l'attenzione. Se avete qualsiasi cosa da dire, o semplicemente per conoscerci e scambiare due chiacchiere su futurap.com trovate tutti i link ai miei profili social. A presto.
Futura

lunedì 18 giugno 2012

La caduta dell'export: baratro o trampolino?






In tutti questi mesi ho sostenuto, corroborato dai dati pubblicati da enti affidabili, che per le azione italiane, specie le PMI, l’export costituisse la principale via di fuga dalla crisi.
Domenica 17 giugno Dario di Vico, giornalista che apprezzo e stimo moltissimo, molto attento alle PMI e la cui rubrica La nuvola del lavoro, dove scrivono anche autori del calibro di Ivana Pais e Cristina Mariani,  presenta sul CorSera i dati più recenti dell’andamento delle vendite all’estero e ne risulta una sorta di disfatta: crescita tendenziale dell’1,4% contro dati a due cifre dell’anno precedente e 56 distretti su 143 addirittura in negativo.
E allora? Allora è importante considerare le riflessioni che Di Vico propone e che i suoi lettori rilanciano. Alle quali aggiungiamo le nostre.
1)  il calo sostanziale è nell’area Europa: ma va? Non credo questo debba stupirci: Spagna, Grecia, Portogallo e Turchia hanno comperato molto meno. Anche la Germania rallenta. Ce lo dovevamo aspettare.
2)  Crescono le vendite nei paesi extraeuropei, come ad esempio il Brasile: ma va? Anche questo era un dato da attendersi
3)  Rallentiamo in Cina e India: ma va? Anche questo dato era in qualche modo atteso ed è comprensibile. La qualità del made in Italy ha bisogno di mercati che lo apprezzino. Non a caso abbiamo spesso parlato in questo blog di Canada, USA, Sud America.
4)  Una ragione, scrivere Di Vico, del calo è la mancata promozione commerciale all’estero.

Fermiamoci un attimo a parlare di questo: Di Vico insiste sull’autogol dell’ICE, chiuso e riaperto. Dissento fortemente. Per queste ragioni
a)  non mi risulta sia stato di fatto mai chiuso in senso pratico
b)  sicuri che sia questo mezzo insuperabile per promuovere le aziende all’estero? Le mie esperienze dirette e quelle raccolte da molte aziende dicono in contrario. Certamente c’è differenza da sede a sede, ma la maggiori parte dei commenti dice che
a.   è un carrozzone in stile ministeriale: grandi spese, grandi lustri, poca sostanza
b.   utilissimo a livello istituzionale, ha poco contatto con il territorio
c.   snobba le PMI a favore delle grandi imprese
d.   per “statuto” non può offrire consulenze spicce e mirate
e.  lavora più per missioni che per follow up: esattamente quello che servirebbe alle aziende italiane che spesso sono sprovvedute nell’approccio con l’estero.
c)   Sembriamo dimenticarci del grande apporto fornito alle PMI dalle Camere di Commercio italiane all’estero, vero motore di sviluppo locale.
d)  Trascuriamo un altro tema che i lettori dell’articolo evidenziano bene: la scarsa competenza della classe dirigente italiana nel comprendere i mercati esteri e il modo di approcciarli.

Chissà se Dario Di Vico ci risponderà dandoci il suo punto di vista… conto sul vostro parere per capire come volgere al positivo questa notizia e come mettere a frutto la strategia migliore di approccio all’estero.

sabato 16 giugno 2012

Il made in Italy sbarca a Dallas


di Claudio Besana


C’è grande spazio per il made in Italy negli Stati Uniti: l’importante è saper scegliere dove indirizzare i propri sforzi. Le priorità sono importanti quanto la qualità di approccio.
Ne abbiamo parlato con Silvia Raffa, direttore di Italian fashion expo, che il prossimo 22 ottobre organizzerà a Dallas la prima edizione dell’ Ifw-Italian fashion week (ne ha parlato di recente anche Milano Finanza).
 Perché una fiera proprio a Dallas, principale centro abitato del Texas, e non nelle grandi metropoli americane: NYC, Los Angeles, Las Vegas? Innanzitutto perché Dallas, e il Texas in generale, sono ancora un’isola felice: l’economia è basata sull’industria dell’allevamento bovino e sul petrolio. Diciamo che non stanno sentendo la crisi come in Europa. Poi perché qui non c’è il sovraffollamento delle grandi città dove si rischia di passare inosservati.
 Perché una fiera di moda in Texas? Dallas è la sede di Neiman Markus, catena di grande distribuzione organizzata del mercato del lusso, e storicamente è un centro dove si è sviluppato un notevole giro di buyers. Inoltre, come dicevo prima, quello texano è un mercato ancora non saturo come invece sono metropoli del calibro di New York, Los Angeles e Las Vegas, città dove le aziende italiane si sprecano.
Presentarsi con un gruppo di nuove aziende in Texas, fa molto più notizia che sbarcare ad esempio nella Grande Mela. E’ per questo che in tutto il Lone Star State stanno aprendo un grande numero di boutique nuove, la gente in questo momento è molto “fashion oriented”: piace fare shopping, piace spendere. E hanno i soldi per farlo.
 Che obiettivo ha la fiera? Il fine è quello di portare oltreoceano quelle piccole medie imprese di moda italiane che non hanno la forza economica e l’immagine per entrare nelle città già presidiate dai grandi marchi, ma che possono trovare in una città come Dallas potenzialità di crescita importanti. Esportare quindi un prodotto italiano che sia di qualità anche e soprattutto di aziende piccole o medie, fascia che in Texas ancora manca: le boutique hanno la necessità di far conoscere brand nuovi e particolari per creare dei nuovi concept store con aziende fresche, vivaci, brillanti.
 Cosa cercano, nelle aziende italiane, gli americani e i texani in particolare? Il made in Italy negli States è ancora sinonimo di qualità, stile, eleganza e moda. Gli americani sono interessati a capire le regole del buon gusto, a scoprire le nuove tendenze in fatto di moda. Identificare un prodotto forte, di qualità, personalizzarsi, trovare qualcosa che ancora non hanno: sono questi i punti focali sui quali vuole puntare la fiera di Dallas.
 Cosa deve avere un’azienda italiana per poter partecipare alla settimana della moda di Dallas? Requisiti minimi sono un bel sito internet, un press kit costituito da una brochure internazionale e da materiale promozionale, una presentazione dettagliata dell’azienda e soprattutto un’idea ben precisa di come ci si voglia posizionare sul mercato e quale possa essere il target di buyers di riferimento. Un consiglio in particolare mi sento di dare: comunicare in modo chiaro la propria strategia di mercato cercando di essere il più trasparenti possibili.
 Quali sono gli errori da non commettere assolutamente, quelli che nella tua esperienza hai visto più spesso? Sicuramente è molto apprezzata la puntualità, con ordini e consegne precisi entro la scadenza: quello americano è un mercato talmente veloce che al primo errore in un attimo si è subito sostituiti. Essere veloci, reattivi e precisi è quindi un ottimo biglietto da visita.
 Per finire ci puoi dire quanto conta oggi l’immagine per un’azienda italiana per presentarsi negli Stati Uniti? Conta davvero tanto, come del resto in Italia e in tutto il resto del mondo. La cosa davvero importante è comunicare, il più chiaramente possibile, l’italianità che c’è nel brand. Sconsiglio quindi di dare alle aziende nomi troppo esotici ma di mantenere l’italianità e la semplicità come punti di forza. Essere aperti ad adattarsi alla cultura americana mantenendo un forte legame con le proprie tradizioni.
 In ultimo mi preme sottolineare come il nostro obiettivo sia quello di offrire un servizio mirato, mantenendo l’esclusività e facendo un’accurata selezione per non creare l’effetto mercato. Le aziende saranno accompagnate sia nella fase precedente sia in quella post salone, selezionando il target di riferimento e di conseguenza I buyers da invitare: un percorso di continuità negli anni e quindi un investimento sugli Usa a lungo termine.

lunedì 4 giugno 2012

QRCode e creatività

Guest post di Andrea Annunziata, creatore di SportThink che aiuta a rendere efficaci e profittevoli le sponsorizzazioni sportive con attività di SportMarketing e curatore del blog omonimo. Ci illustra una iniziativa che con creatività associa il sostegno alle attività giovanili con la promozione di un marchio attraverso l'uso di codici QR.





Molto spesso si parla di mancanza di innovazione nelle nostre aziende. In particolar modo lo si afferma per tutte quelle società professionistiche dello sport italiano troppo legate alle sponsorizzazioni aziendali fatte spesso da imprenditori mecenati o super-appassionati di quella disciplina/squadra sportiva.
Vi sono però casi importanti di rinnovamento e tra questi va certamente segnalata la pallacanestro Biella, società strutturata in modo aziendale con dirigenti seri e professionali.
Per loro la sponsorizzazione non è un dono fine a se stesso, per loro farsi sponsorizzare significa dare dei ritorni ai propri partner/sponsor.
Con questo tipo di visione è facile riuscire a prendere spunto dalle campagne promozionali delle aziende e traslarle al mondo dello sport.
Ecco come l'innovazione del QR-Code entra a far parte della campagna di sostegno della società sportiva.
In pratica dalla fine di aprile è iniziata una raccolta fondi diffusa per il sostegno alle squadre giovanili della Pallacanestro Biella (importo fisso di 1€) con l'utilizzo esclusivo di un QR-Code specifico per l'occasione.
Questo però non poteva accadere senza il supporto di uno sponsor importante come Banca Sella che ha in know-how necessario e che ha l'obiettivo di diffondere nel territorio biellese il pagamento attraverso cellurare e QR-Code, andando cioè oltre l'uso di carte di credito e di debito.
I benefici ci sono e per tutte le parti in causa, infatti Banca Sella vedrà diffondersi il suo prodotto Up Mobile tra i tifosi biellesi, mentre la società sportiva otterrà un certo numero di donazioni. Basterà vedere la cifra complessivamente raccolta per comprendere la diffusione dell'iniziativa.
Certamente questo tipo di raccolta fondi con partnership bancaria può essere sviluppata nel mondo dello sport specie quando le tematiche sono quelle dell'inclusione sociale e della diffusione dei valori etici di cui lo sport è portatore, penso ai comitati paralimpici e a sport come il rugby, ma siamo solo agli inizi e gli sviluppi possono essere davvero molteplici.

venerdì 1 giugno 2012

E-commerce e moda: un binomio vincente anche per l'export




L’ecommerce va forte nella moda. Lo spiega bene questo post apparso sul sito Data Manager con dovizia di particolari.
Partiamo per una riflessione da questo estratto dall’articolo citato che mi sembra una ottima piattaforma di lancio:
Dalla nostra indagine sulla multicanalità emerge un dato particolarmente significativo – commenta Maurizio Alberti, Managing Director, eCircle Italia – la maggior parte degli intervistati (65%) che acquista prodotti moda –abbigliamento, accessori etc … - si comporta in maniera multicanale in tutte le fasi del processo d’acquisto, sfruttando contemporaneamente canali online ed offline. La chiave per il successo delle imprese fashion è l’integrazione dei canali di vendita trasformandoli in strumenti complementari e non concorrenti. In questo modo le aziende saranno in grado di offrire ai consumatori un’esperienza d’acquisto completa, che permetta loro di scegliere in qualsiasi momento il canale preferito spostandosi agevolmente in un ambiente multicanale ricco di stimoli e interazione.”
La moda ha molto da guadagnare dall’uso saggio del web, anche perché questa strada permette di investire cifre molto contenute e al contempo raggiungere un pubblico molto ampio, anche al di là dei confini nazionali. La strategia deve però essere completa ed ampia e considerare tutti i mezzi messi a disposizione dalla rete per attirare clienti sul proprio sito di e-commerce. Aprire un negozio on line infatti non garantisce nulla. L’illusione di aver aperto un vetrina nel quadrilatero della moda viene subito dissolta dal terrore di aver aperto un punto vendita in una zona deserta della peggiore periferia: e nel web non c’è neanche la pedonabilità accidentale ad aumentare la visibilità. Se non organizzo un piano d’azione per attirare traffico sul mio sito di vendita, l’e-shop rimarrà desolatamente vuoto. Ci vuole una sapiente campagna di promozione che affascini gli internauti e li convogli sul nostro sito. E questo non si ottiene solo magnificando i propri prodotti con una pubblicità, per così dire, tradizionale che si limiti a mostrare quanto siamo belli e bravi. La rete ha altre logiche e meccanismi basati sull’approccio Wiki, vale a dire di condivisione dei valori. Che cosa posso condividere della mia esperienza e delle mie conoscenze con la rete per far sì che aumenti costantemente il numero di visitatori, si generi un fenomeno di passaparola virtuoso e di riflesso aumentino  le vendite?
Ne abbiamo parlato a lungo in questo blog illustrando come video, blog, social media (nuovi e vecchi) e informazioni facilitino questo processo.
Il collegamento virtuoso tra e-commerce e strategia web è confermato da questo articolo apparso nella newsletter di AmEx e ricco di dati e statistiche positive, oltre che di esempi da seguire.
Il web è davvero il luogo che permette l’esplosione di nuovi brand e l’affermazione di giovani stilisti.